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Grobbelaar, dalla guerra alla porta

Tutti lo ricordano per i suoi virtuosismi sulla linea di porta durante la finale di Coppa dei Campioni del 1984 quando, sul prato dell'Olimpico, le sue esibizioni ai tiri di rigore portarono agli errori di Bruno Conti e Ciccio Graziani. Non proprio due qualsiasi. Ma la vita di Bruce Grobbelaar, ex portiere del Liverpool, non è sempre stata legata al calcio, né l'avversario è sempre stato la Roma. Diciotto anni li ha avuti anche lui, ed essere un giovane uomo nello Zimbabwe degli anni 70 non è stato facile. A rivelarlo è stato lui stesso, durante un'intervista al Guardian, nella quale ha raccontato i giorni della guerra civile in Rhodesia e il suo arruolamento obbligatorio nelle file dell'esercito. Una pagina straziante della sua vita, faccia a faccia con la morte, la stessa che racconta di aver dispensato a quelli che erano i suoi nemici. Lui, 18enne, armato di fucile pronto a sparare e a uccidere.

Undici mesi

Grobbelaar ha raccontato di essere stato arruolato per servire nell'esercito come scout. Circostanza che, comunque, non lo ha esentato dall'essere costretto a uccidere molti di quelli che doveva considerare suoi nemici. Quando nel 1974 le due fazioni degli Zanu e Zapu (guidati da Mugabe) iniziarono a fae la guerra alla fazione bianca della ex colonia, la Rhodesia era già divisa, con lo Zambia divenuto indipendente dieci anni prima assieme alla regione del Nyasaland (l'attuale Malawi) e l'odierno Zimbabwe che tolse l'aggettivo “meridionale” dal nome Rhodesia, divenendo di fatto l'ultimo stralcio della ex porzione di territorio controllata fino a inizio secolo da Cecil Rhodes. Bruce era un ragazzo ma con un fucile appunto: “Era il crepuscolo – ha raccontato al quotidiano britannico – e quando il sole inizia ad affossarsi vedi le ombre tra i cespugli. Non riesci a riconoscere granché finché non vedi il bianco degli occhi dei soldati. O vivi tu o loro. Spari, vai a terra e c'è uno scambio di proiettili. Poi senti delle voci che ti dicono 'Caporale, mi hanno colpito!' e fai per zittirle, altrimenti vieni ucciso tu e gli altri. Quando cessa il fuoco vedi corpi a terra dappertutto. La prima volta tutto quello che hai nello stomaco ti risale fino alla bocca. Quanti ne ho uccisi? Non posso dirlo”.

Senza dimenticare

Durò undici mesi la sua permanenza nelle file dell'esercito rhodesiano. La guerra civile terminò nel 1979, avviando di fatto l'era di Robert Mugabe alla guida del Paese, prima come Primo ministro, poi come presidente. Bruce, nel frattempo, era volato in Canada per giocare coi Vancouver Whitecaps, uno step che, dopo un solo anno, lo avrebbe portato ad Anfield, casa del Liverpool. Una nuova pagina della sua vita, irrimediabilmente segnata dalla guerra ma che, proprio nel calcio, ha trovato la sua ancora di salvezza: “La tifoseria mi chiamava Jungleman, uomo della giungla. Dicevano che non ero bianco, che ero un nero con la pelle bianca. Il calcio mi ha davvero salvato dalla depressione e ha allontanato i pensieri oscuri della guerra”. Per qualcuno dei suoi compagni d'arme non andò così. Grobbelaar ricorda che alcuni di loro si uccisero, sopraffatti dagli orrori vissuti. Lui ce l'ha fatta grazie al calcio, ma anche grazie a se stesso e alla forza di superare il suo passato, senza tuttavia dimenticarlo: “Ho ucciso tante persone e per questo ho sempre vissuto la mia vita giorno per giorno. Posso solo pentirmi di quello che ho fatto, ma non posso cambiare il mio passato”.

Mattia Damiani

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