Evidentemente una lezione era bastata: al Joshua vs Ruiz numero due, l'ex iridato della notte delle stelle si è ripreso il titolo contro Andy Ruiz, che glielo aveva strappato a giugno. Detto in modo semplice, tecnica e strategia che battono forza e resistenza. Perché il messicano era lo stesso di qualche mese fa, tutto avanzamento, incassatore d'altri tempi e destro terrificante, dritto e da sopra. Joshua se l'e studiata bene la gara di Diriyya, puntando sulla rapidità fra colpo e arretramento, tanto che Ruiz alla fine mima chiaramente il gesto del fermarsi, invitandolo a combattere faccia a faccia. Non c'è cascato il colosso britannico (uno che si era preso il titolo contro Klitchko, mica uno qualunque), che lavora il messicano ai fianchi dopo aver messo a segno in apertura un dritto terrificante che ha aperto il sopracciglio di Ruiz. Che non ha fatto una piega ovviamente, continuando ad avanzare a testa bassa e braccia serrate, pronto a incassare in piena faccia e, quasi per figura, anche al corpo (dove praticamente è come se non lo colpissero).
Una vendetta (sportiva) raffinata quella di Joshua, che si dimostra campione vero non solo nella potenza e nella precisione dei colpi, ma anche nel modo di studiare gara e avversario. Rispetto al match di giugno, il britannico si è presentato in forma smagliante, perfettamente consapevole di cosa non fare per evitare di uscirne intero. E con tutte e tre le cinture, ovviamente. Lavora bene di gambe, concede praticamente nulla all'avversario, restando alla larga per quasi tutti i 12 round dal contatto diretto. In sostanza, annullandone tutti i punti di forza. Il fatto è che l'inglese di obiettivo ne aveva solo uno: riprendersi il titolo. E magari far capire di aver compreso la lezione. Del resto, per quanto affascinante, Diriyya non era il Madison Square Garden, dove chi è dentro si aspetta di assistere a qualcosa di epico: Joshua ha semplicemente azzeccato tutto, innanzitutto il modo di affrontare un avversario che regge a qualunque colpo, meno al ritmo forsennato alla lunga distanza. Niente colpi terrificanti (a parte il primo) né pugili a tappeto, al massimo qualche jab ben assestato, nemmeno uno a vuoto: una vittoria tutta strategia, che magari non accontenterà i cultori del bello ma che, di certo, mette d'accordo tutti sulla sapienza tattica di un campione a tutto tondo. Al toro messicano l'onore delle armi e il merito di non andare mai a terra, nonostante questa volta si sia vista un'evidente differenza sul piano strategico. Forse ora la lezione è servita a lui.
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