Sant’Ignazio di Antiochia. Vescovo e martire Antiochia di Siria (Turchia), 35 ca. – Roma, 107 ca. Si converte giovanissimo al cristianesimo. É discepolo di san Giovanni apostolo, insieme a Policarpo di Smirne. Ama definirsi “il portatore di Dio”. E’ uno dei primi testimoni della Chiesa nascente.
• È il terzo vescovo della Chiesa di Antiochia, di cui Pietro è stato il primo. Per circa quarant’anni regge la comunità con grande capacità e generosità.
• Durante il viaggio a Roma per essere condannato alle fiere nel circo, detta (perché ha le mani incatenate) sette lettere a varie chiese. Queste lettere hanno un tale spessore spirituale da essere paragonate a quelle di san Paolo. E’ il primo nella letteratura cristiana ad attribuire alla Chiesa l’aggettivo “cattolica”, che significa universale.
• Viene indicato come quel fanciullo che Gesù pose in mezzo ai discepoli dicendo loro: «Se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli» (Mt 18,3).
• L’imperatore Traiano, ammirato dal coraggio e dall’eroismo di Ignazio nell’affrontare la morte, decide di mitigare le persecuzioni contro i cristiani.
Sospira tutta la vita il martirio, per mostrare al Signore il suo immenso amore. Considera la morte una grande grazia, perché gli permette di incontrare finalmente il Padre tanto amato. Ribadisce, con forza, il primato del vescovo di Roma ed esorta ogni comunità a essere unita al proprio vescovo.
«Lasciate che io sia pasto delle belve, per mezzo delle quali mi sia dato di raggiungere Dio. Sono frumento di Dio e sarò macinato dai denti delle fiere per divenire pane puro di Cristo. Se subirò il martirio, ciò significherà che mi avete voluto bene. Se sarò rimesso in libertà, sarà segno che mi avete odiato».
In età molto avanzata è condannato a morte dall’imperatore Traiano. Durante il viaggio alla volta di Roma, nel mezzo di una sosta a Smirne, ha la possibilità di incontrare Policarpo, suo condiscepolo e ora vescovo della città. Viene dato in pasto ai leoni nell’anfiteatro Flavio (Colosseo) durante i giochi delle festività del 107. Finito il tragico spettacolo, i cristiani romani raccolgono le ossa rimaste e le collocano in un luogo sacro fuori delle mura della città. La sua memoria è venerata il 17 ottobre in Antiochia fin dal IV secolo. La maggior parte delle sue reliquie è venerata nella chiesa romana di San Clemente. Il suo nome è ricordato nel Canone della Messa.
Tratto dal libro “I santi del giorno ci insegnano a vivere e a morire” di Luigi Luzi
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