La Beata Ludovica Albertoni è una Terziaria francescana nata a Roma nel 1473 e morta il 31-1-1533
Orfana del padre in tenerissima età. La madre si risposa, lei viene allevata dalla nonna materna e dalle zie. A 20 anni, sposa contro la sua volontà, Giacomo della Cetera, che comunque riesce ad amare devotamente: hanno tre figlie.
All’età di 32 anni le muore il marito e deve sopportare le vessazioni dei parenti di lui, per motivi di eredità. Entra nel Terz’Ordine Francescano ed inizia una vita di preghiera, penitenza e ricca di opere di misericordia. Assiste al sacco di Roma e si adopera con ogni mezzo nell’assistere i poveri che va anche a visitare nei loro tuguri.
Trascorre gli ultimi anni della sua vita in grande povertà avendo distribuito ai poveri tutti i suoi beni. Aiuta anche le ragazze povere a maritarsi, fornendo loro la dote. Ha il dono delle estasi, in questo stato l’ha raffigurata il Bernini con una bellissima statua posta sopra il suo sepolcro nella chiesa di San Francesco a Ripa a Roma. Si abbandona a copiosi pianti nel meditare la Passione di Gesù fino a perdere quasi la vita.
“Come è possibile vivere senza soffrire, quando si contempla il nostro Dio, sospeso ad una croce?”
“Dio ci ha dato i beni della terra, perché noi li dividiamo con coloro che hanno avuto necessità”.
Una violenta febbre resistente alle terapie del tempo, la rende consapevole che la fine è ormai vicina. In questo periodo dice spesso: “Signore accresci il dolore, ma accresci anche la mia pazienza”, “Signore qui brucia, qui taglia, purché riceva il perdono per l’eternità”.
Si sente confusa e imbarazzata per le numerose visite da parte di alti prelati e addirittura cardinali. Riceve gli Ultimi Sacramenti. Con il Crocifisso tra le mani dice: “Gesù mio misericordia. Vergine S.S., madre mia pietosa, liberami dalle insidie del nemico mortale in quest’ora della mia morte”.
Baciando le piaghe del Crocifisso prima di spirare riesce a pronunciare a stento: “Nelle tue mani, Signore, raccomando il mio spirito”. Beatificata nel 1671 da Clemente XI.
Tratto dal libro “I santi ci insegnano a vivere e a morire”, Luigi Luzi (Grafostil offset & Digital Print, 2020)
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