Spiritualità

Beata Émilie Tavernier, madre della “Casa della Provvidenza”

È il modello di una donna che è riuscita ad andare avanti e a realizzare qualcosa di grande per il prossimo nonostante le tante difficoltà incontrate nella vita. I lutti che hanno costellato il suo cammino terreno non le hanno impedito di soccorrere i poveri, gli emarginati e in particolare gli orfani delle epidemie di colera. Malattia, questa, che l’ha portata 51enne all’incontro col Padre Celeste, appena 8 anni dopo aver fondato l’istituto religioso femminile che ancora oggi attinge alla sua eredità.

Émilie Tavernier nasce a Montreal (Canada) nel 1800 da una famiglia numerosa; è l’ultima di 15 figli educati da genitori premurosi e con saldi principi umani e cristiani. La sua infanzia è problematica perché perde la madre all’età di 4 anni e il padre a 14. Subito dopo la scomparsa della genitrice viene affidata alle cure della zia paterna che denota nella bambina una particolare predisposizione nei confronti delle persone bisognose. Sensibilità che dimostra aiutando il cugino malato in Quebec e ancor prima il fratello rimasto vedovo da cui si trasferisce a 18 anni non pretendendo alcuna gratificazione economica. L’unica richiesta è di avere sempre del cibo a disposizione per i mendicanti che dovessero presentarsi, una “mensa” da lei chiamata “la Tavola del Re”. Ventitreenne si sposa con Jean-Baptiste Gamelin, un uomo sensibile che si occupa di coltivare mele dopo essere stato calzolaio. È il felice connubio tra due coniugi che condividono un interesse comune e l’amore per gli ultimi. Dal matrimonio nascono 3 figli, ma l’idillio familiare viene tragicamente interrotto nel giro di pochi anni per la prematura morte dei bambini e del marito.

Afflitta tremendamente per le varie prove subite la Beata Émilie non si ripiega su sé stessa e non permette alla sofferenza di avere il sopravvento. Consigliata da un sacerdote inizia a pregare dinanzi a un’immagine della Vergine Addolorata ai piedi della croce. Attraverso la Madonna trova un modello sul quale orientare la sua esistenza: la pratica di una carità cristiana piena di compassione per quanti si trovano in preda alle sofferenze di ogni genere. Da quel momento accoglie a casa i poveri che il Signore le fa incontrare: essi diventeranno la sua nuova famiglia! Inizia con Dodais, un’adolescente disabile psichico, insieme alla madre; poi indigenti, persone anziane, orfani, prigionieri, immigrati, disoccupati, giovani o coppie in difficoltà…

L’abitazione diventa all’improvviso troppo piccola per contenere la moltitudine di disperati che chiedono aiuto. Allora Émilie si prodiga con il massimo dell’impegno per cercare di aumentare i locali a disposizione. Ormai tutti gli abitanti del luogo conoscono la sua “Casa della Provvidenza” dove si mette in pratica ciò che recita il Vangelo: “Ciò che voi farete al più piccolo dei miei fratelli l’avrete fatto a me”. La sua opera, nel giro di 15 anni, si estenderà moltissimo, e aumenteranno a vista d’occhio le strutture di accoglienza da lei aperte, con la benevolenza e l’approvazione dei vescovi, anche se talvolta sarà contrastata da incomprensioni e anche da qualche malalingua. La signora Gamelin formerà giovani ragazze canadesi a sperimentare la carità compassionevole che lei vive con amore, devozione e sacrificio, e alla missione della Provvidenza, da proclamare coi fatti, molto più eloquenti delle parole.

Nascono così le Suore della Provvidenza con Émilie inizialmente novizia, poi madre e fondatrice; la prima professione religiosa ha luogo nel 1844. In un periodo di epidemie e in una società in via di sviluppo crescono costantemente i bisogni di poveri, ammalati ed emigranti. Non mancano altri problemi per Suor Émilie, attaccata da una consorella che insinua dei dubbi sulle sue effettive doti. Ma la beata non si perde d’animo e, affidandosi alla Vergine, prosegue senza tentennamenti a seguire la strada che l’Onnipotente ha tracciato. Le Suore della Provvidenza, intanto, crescono fino a 50. “Ritenendo di aver ricevuto tutto dal Signore – ha detto di lei Giovanni Paolo II – donava senza limiti. Tale era il segreto della sua gioia profonda, persino nelle avversità. In uno spirito di totale fiducia in Dio e con un senso acuto dell’obbedienza, come il ‘servo’ del Vangelo, compì il suo dovere come un comandamento divino, volendo fare in tutto la volontà del Signore”.

Il Padre Celeste la chiama a Sé molto presto: la Beata Émilie muore di colera lasciando alle sue sorelle un testamento spirituale sintetizzabile in poche semplici parole: umiltà, semplicità, carità, soprattutto carità. Attualmente l’istituto religioso femminile – di diritto pontificio – è presente in diversi Paesi del mondo con circa un migliaio di suore e un centinaio di case. Nel 1993 Giovanni Paolo II promulga il decreto sulle virtù eroiche di Suor Émilie e la proclama beata 8 anni dopo. Questa l’esortazione di Papa Wojtyla a tutti i cristiani affinché raccolgano doni dalla “fecondità di una vita che si abbandona fra le mani di Dio”: “Sull’esempio della Beata Emilie, vi incoraggio a mettervi al servizio dei poveri e dei più bisognosi della società, che sono i prediletti di Dio, per alleviare le loro sofferenze, facendo così risplendere la loro dignità”.

Macario Tinti

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