Opinione

Quel percorso interiore dal nostro sepolcro del cuore alla gioia pasquale

Tra la solenne Veglia Pasquale e la Messa nel giorno di Pasqua, ogni anno, la liturgia ci fa gustare i vangeli della Risurrezione, accomunati certamente dal sepolcro vuoto quale testimonianza tangibile di quanto lungo la notte è avvenuto: “Mors et Vita duello conflixere mirando: Dux Vitæ mortuus, regnat vivus” (Morte e Vita si sono affrontate in un duello straordinario: il Signore della vita era morto, ora, regna vivo), come ci fa cantare la Sequenza.

Altrettanto in comune il racconto dei quattro evangelisti ha la presenza delle donne che si dirigono al sepolcro. Sono loro infatti le prime testimoni di quanto avvenuto. Matteo parla di Maria di Magdala e l’altra Maria (28, 1), madre di Giacomo e di Giuseppe; Marco ugualmente di Maria madre di Giacomo e Salome (16, 1), Luca invece di Maria Maddalena, Giovanna e Maria madre di Giacomo ed altre donne (24, 10), infine Giovanni riferisce solo di Maria di Magdala (20,1).

Al di là delle lievi differenze tra i racconti, ciò che sembra essere certo è che le donne partirono di buon mattino, nel primo giorno della settimana, per ungere il corpo del Maestro e si trovarono di fronte a qualcosa di particolare: la pietra che ostruiva l’ingresso del sepolcro era stata rotolata via e tra la fredda pietra non c’era più Colui che esse cercavano.

Il velo di tristezza che teneva in ostaggio i loro cuori per la morte cruenta del Messia al vedere la tomba vuota ha lasciato spazio allo stupore e alla gioia perché il Cristo ha mantenuto la promessa, si è inverata la sua predicazione: “Il Figlio dell’uomo deve soffrire molto, essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e risorgere il terzo giorno” (Lc 9, 22). E subito la corsa verso il gruppo dei discepoli, che sin dall’inizio hanno seguito il Signore, per raccontare l’accaduto, per dare l’annuncio pasquale. Queste donne bensì non compiono solo un percorso fisico, dalla città al luogo della sepoltura per poi tornare tra le mura di Gerusalemme, ma anche interiore, dalla tristezza alla gioia, divenendo così figura dei cristiani di ogni tempo.

Quante volte ciascuno di noi, soprattutto in questo momento storico che mantiene da tempo il sapore dell’incertezza, del timore e della sofferenza, ha il cuore appesantito, stanco, indurito, impaurito? Ebbene il Signore, oggi come allora, saprà trasformare il mio lamento in danza, il mio abito di sacco in abito di gioia (Sal 30, 12). Lo ha fatto con quelle sante discepole, lo farà anche con ciascuno di noi se siamo docili alla sua opera.

don Francesco Verzini

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