Opinione

Un nuovo modo di essere autenticamente popolo di Dio

Vent’anni fa, in una inchiesta sulle parrocchie italiane, si era scoperto che l’80 per cento delle attività era rivolto al 25-30 per cento dei cristiani che già frequentavano la chiesa. Tutti gli altri venivano avvicinati solo in rarissime circostanze, per lo più in occasione di battesimi, matrimoni e funerali. Vent’anni dopo, e soprattutto dopo la pandemia, quella situazione sarà molto probabilmente peggiorata. E allora, con parroci così poco autorevoli come testimoni del Vangelo, e con parrocchie così poco attrezzate per evangelizzare, come convincere a tornare cristiani già dalla fede fragile, e ora più dubbiosi, più reticenti di prima?

E come raggiungere quella moltitudine di persone ch’erano già lontane, spesso polemiche nei riguardi della Chiesa-istituzione, dalla religiosità anonima, discontinua, eppure affamate di senso, con una gran voglia dentro di scoprire il senso ultimo della vita? Per giunta, quando c’è chi tenta di cambiare, chi si inventa un coraggioso progetto – come hanno fatto in Germania, a Treviri – per ridurre le parrocchie, svilupparne la missionarietà, e renderne la gestione più collegiale e partecipativa, con un maggiore spazio e maggiori responsabilità ai laici, ecco che arriva l’altolà del Vaticano. Incredibilmente duro. Pieno di motivazioni discutibili. Ma con l’approvazione di papa Francesco, che pure chiede continuamente una “sana decentralizzazione”, e dedicherà il prossimo Sinodo dei Vescovi alla sinodalità, cioè al “camminare insieme”, pastori e popolo di Dio, per superare il clericalismo, per progettare una più efficace missione evangelizzatrice.

Conclusione. La gente si allontana dalle chiese, o, peggio, non considera più importante andarci. Cresce l’indifferenza religiosa, o, peggio, l’apatia. Cresce il disimpegno dei cristiani nel campo sociale, in quello politico, a conferma di un cattolicesimo in crisi profonda. E la gerarchia ecclesiastica che fa? Risponde con dei no che sbarrano le porte, o con l’avvio di processi di cambiamento che sfiorano appena i problemi reali, e comunque avranno bisogno di chissà quanti anni per vedere la luce. C’è invece una riforma, una vera grande riforma, che l’intera classe clericale dovrebbe fare: chiedersi come viva il mistero che annuncia, nella predicazione, nella liturgia, nell’azione evangelizzatrice, nell’autorità che esercita, e nel come la esercita. Da qui, da quest’esame di coscienza collettivo, potrebbe uscirne un nuovo modo di essere autenticamente popolo di Dio: interrompendo quell’ormai inaccettabile “percorso” a senso unico, da una Chiesa docente a una Chiesa discente, che da secoli condiziona la vita della comunità cattolica.

Così come potrebbe uscirne un nuovo modo di dire la fede con parole incisive, credibili, che raggiungano tutti. Ricominciando a cercare Dio, dalle tracce più semplici, all’interno della storia degli uomini. E’ cambiato il mondo, dicono tutti. Ma, prima ancora, sta cambiando l’uomo. Un uomo che vuole essere padrone assoluto della propria libertà, ma, schizofrenicamente, é sempre più dimentico dei suoi valori, del suo destino.

Guardiamo quel che è successo in casa nostra, nell’ambito cattolico. E c’è subito da fare una constatazione, davvero sorprendente. Ovvero, la pandemia, con le sue drammatiche emergenze, ha fatto scoprire straordinarie figure di cristiani. Parliamo di medici e di infermieri, i quali, specialmente in questo periodo, hanno praticato la carità non solamente come dovere professionale, e neppure solo come solidarietà, che pure è un grande valore cristiano, ma nel senso della gratuità assoluta del Vangelo. E, come loro, ci saranno tanti altri laici cristiani, i quali ogni giorno, nelle loro professioni, con le loro competenze, testimoniano la Chiesa “in uscita”, la rendono presente nel mondo. Dunque, laici, come notava giustamente un teologo, Roberto Repole, e non solamente vescovi, preti e religiosi.

Gianfranco Svidercoschi

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