Opinione

Il lascito di Papa Luciani alla Chiesa Universale

Albino Luciani, per il quale è ora arrivato l’ok di papa Francesco alla beatificazione, aveva in mente un pontificato di cambiamento, aveva in programma diverse riforme, tutte molto forti: le riforme del Conclave, della Curia romana, del Sinodo dei Vescovi. Ma il suo pontificato si era fermato lì. All’improvviso, era arrivata quella morte incredibile, drammatica, paurosamente ammonitrice: e non per il “giallo” che avevano tentato di costruirci su, ipotizzando un vero e proprio avvelenamento; ma perché non poteva non colpire la scomparsa di un Papa ancora giovane, 65 anni, eletto da poco più di un mese.

Eppure, malgrado quei trentatré giorni soltanto, Giovanni Paolo I aveva lasciato una traccia indelebile nella storia del cattolicesimo. Per il suo ottimismo cristiano. Per la sua spiritualità. Per la sua profonda convinzione che la Chiesa dovesse tornare a essere umile, povera, evangelica, al servizio degli uomini. Ma forse – almeno per un credente – ci fu dell’altro, in quel disegno misterioso che si intrecciò con la vita di Albino Luciani. Sarebbe a dire, l’“influsso” decisivo che il pontificato di Giovanni Paolo I avrebbe avuto nella scelta del successore. Fu proprio il brevissimo tempo, intercorso tra un Conclave e l’altro, a non far cadere – com’era invece avvenuto altre volte in passato – la disponibilità del Collegio cardinalizio a orientarsi anche verso un candidato non italiano.

Così, nell’impossibilità di superare l’impasse del confronto tra l’arcivescovo di Firenze, Giovanni Benelli, sostenuto dai montiniani, e l’arcivescovo di Genova, Giuseppe Siri, di idee decisamente conservatrici, e caduto oltretutto nelle grinfie di un giornalista “scuppettaro” e poco corretto, perché, venendo meno alle promesse, pubblicò l’intervista la mattina dell’apertura del Conclave, e subito ne approfittarono gli oppositori di Siri facendo circolare un riassunto dell’articolo tra gli elettori; ebbene, nell’impossibilità di superare quell’impasse, e, prima ancora, la netta frattura insorta tra i cardinali italiani, la maggioranza dei voti si riversò su un altro candidato.

Da parte sua Karol Wojtyla venne creato cardinale da papa Paolo VI nel 1967. Ma già da qualche anno l’arcivescovo di Cracovia era diventato il punto di riferimento del Vaticano in Polonia. In particolare papa Montini apprezzò il contributo del giovane cardinale in occasione degli studi sulla contraccezione, culminati nella pubblicazione, nel giugno del 1969, dell’enciclica Humanae Vitae, con la quale il pontefice dichiarò illecito qualsiasi mezzo contraccettivo, facendo sua la posizione espressa dalla minoranza della commissione di studio, alla quale aveva partecipato anche Wojtyla, battendosi contro ogni cambiamento della dottrina tradizionale.

Il saggio di Valentina Ciciliot, Donne sugli altari, approfondisce le radici “rosa” del pontificato di Giovanni Paolo II. C’è tutta la sua conoscenza dell’universo femminile nelle sante di Karol Wojtyla: da Agnese di Boemia a Benedetta Cambiagio Frassinello, da Clelia Barbieri a Edith Stein, da Maria Faustina Kowalska a Gianna Beretta Molla, da Giuseppina Bakhita a Katharine Mary Drexel. E ancora Maddalena di Canossa, María Venegas de la Torre, Paola Elisabetta Cerioli, Paola Frassinetti, Teresa Eustochio Verzeri, Virginia Centurione Bracelli. Decine di paradigmi di santità che corrispondono all’esperienza dell’altra metà del cielo che Karol Wojtyla maturò fin dagli anni del seminario frequentato in clandestinità. Modelli per i credenti del terzo millennio.

Gianfranco Svidercoschi

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