Più insegno, più mi rendo conto che ciò che interessa maggiormente sono le persone, gli studenti, i colleghi, le famiglie che incontro nel quotidiano. Certo, questi anni difficili non hanno aiutato a svolgere al meglio la didattica, ma, chi educa, sa bene che non saranno queste barriere a fermare la crescita umana e culturale.
A mente fredda torno su un tema caldo dei mesi scorsi, quasi un rituale prenatalizio negli istituti superiori: le proteste, gli scioperi, i cortei, le occupazioni. Osservato a distanza, può essere affrontato in modo diverso e con una prospettiva. Quegli studenti chiedono il diritto allo studio ma, non entrando a scuola in quei giorni, se lo tolgono da soli. Rivendicano libertà eppure lasciano guidare i cortei da “infiltrati” universitari, dei centri sociali, dei partiti politici, dei sindacati. Se la prendono con le scuole paritarie senza sapere (perché nessuno glielo dice chiaramente per questioni ideologiche) che, documenti alla mano, lo Stato risparmia e guadagna pure con le paritarie.
Vogliono il diritto allo sciopero che però non gli spetta, non essendo lavoratori, quando dovrebbero chiedere agli adulti molti altri diritti. Fanno battaglie in classe con i professori, eppure non entrando a scuola spesso li favoriscono. Protestano per la mancanza dei riscaldamenti quando dovrebbero gridare per avere qualcuno che gli scaldi la mente e il cuore! Rientrano a scuola un giorno dopo e nella giustificazione alcuni non hanno il coraggio di scrivere (neanche le famiglie!) che sono stati assenti per la protesta. A questo punto chi li orienta? Chi li guida? Ci vorrebbe chi – e c’è sicuramente da qualche parte – esca dalle proprie strutture fisiche e mentali e vada a cercare questi ragazzi nelle “periferie esistenziali”, laddove si combatte la battaglia quotidiana della vita tra desiderio e domanda.
Se parte della vita si gioca a scuola e la scuola è parte della vita in un certo periodo, è necessario starci dentro – giovani e adulti – poiché ogni esistenza si gioca sul posto non altrove, in un determinato momento. Incontrarsi, seppur tra i banchi e in aula, deve essere per tutti un autentico regalo, mai un passatempo, mai una tappa, mai un lavoro e basta. Allora sì che le strutture diverranno secondarie, che le proteste non si costruiranno ad hoc, né faranno comodo per guadagnare una vacanza, poiché pur nella fatica e nelle difficoltà diverrà interessante e persino stimolante vivere la scuola, imparare qualcosa di nuovo o approfondire, confrontarsi con gli altri, mettersi in gioco, passare pian piano “dal sogno al progetto di vita”.
Mi piacerebbe, però, che almeno una volta si protestasse insieme per il fatto che vorremmo tutti più passione da parte dei docenti e pure degli studenti; per il fatto che si è spesso considerati operai i docenti, e numeri gli studenti, anziché persone e persone in relazione; per il fatto che non ci basta uno studio nozionistico e una valutazione numerica, ma uno “studio” che sia amore e un “sapere” che sia gusto per la cultura.
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