Opinione

Appello al governo: difendiamo il patrimonio industriale a partire da quello automobilistico

L’Italia deve la crescita economica del dopoguerra essenzialmente alla industria dell’auto, alla edilizia, agli elettrodomestici, al Made in Italy, al turismo e più recentemente all’enogastronomico. Lo sviluppo venne sospinto grazie ai bassi salari (sino al 1969), alla costruzione della rete autostradale e dei Trafori autostradali alpini. Negli ultimi dieci anni di crescita zero il Paese non è andato pesantemente sotto solo grazie all’aumento delle esportazioni.

La insufficiente conoscenza di come il Paese sia passato dall’essere essenzialmente un Paese agricolo a Paese industriale, la diminuita competenza nella classe politica, gli effetti negativi degli errori strategici dei nostri grandi gruppi produttivi (la stampa e la politica non capirono che la vittoria di Romiti su Ghidella avrebbe indebolito il settore auto) la svendita del patrimonio industriale delle Partecipazioni statali, i ritardi tecnologici hanno influito negativamente sulla seconda manifattura d’Europa. Anche su Manifattura 4.0 siamo arrivati dopo la Germania e il lavoro di Calenda è durato troppo poco.

Ora rischiamo di perdere quel poco che abbiamo ancora senza che Governo, parlamento, Regioni e Comuni alzino la mano a difendere un patrimonio industriale che contiene ancora molta ricerca scientifica e innovazione.

Alla vendita di Magneti Marelli , la azienda che più di altre presidiava il settore della elettronica nell’auto , ora segue la vendita di IVECO ai cinesi e si dice di COMAU che presidia il settore delle macchine utensili che ha contribuito alla evoluzione della nostra manifattura e di quella di mezzo mondo.

L’esempio positivo della Lamborghini che pure acquisita dai tedeschi ha dovuto fare un nuovo investimento a S.Agata Bolognese grazie alla testarda difesa del Sindaco di S.Agata Bolognese. A Torino e in Piemonte vige il “laissez faire”, Roma dorme e la prospettiva è che il nuovo ad di STELLANTIS privilegi le fabbriche e le linee francesi con conseguenze pesanti sulle nostre aziende dell’indotto e sulla occupazione.

Ci si è dimenticati che il settore auto viene chiamato significativamente come la fabbrica delle fabbriche perché l’auto contiene tanti sistemi frutto del lavoro e degli investimenti di tanti sistemi produttivi.

Se la crisi di Governo portasse a rivalutare quello che una volta si chiamava Ministero della Industria, uomini competenti, determinati, che difendano il patrimonio più importante del Paese, lo spirito creativo e vitale della industria, sarebbe molto importante. La politica che non difende il Paese e le sue produzione che politica è?

Mino Giachino

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