Il 2 novembre tutta la Chiesa ci invita a ricordare coloro che non ci sono più, che hanno lasciato la vita terrena per intraprendere un viaggio verso una meta più grande e più importante. La morte è una realtà quotidiana di ieri, di oggi, di domani. Non è facile parlare della morte, anche se ogni giorno i tanti fatti di cronaca e i diversi avvenimenti ce la raccontano dettagliatamente, attraverso la stampa e specialmente tramite i vari canali televisivi, in maniera perfino troppo brutale. L’origine storica della ricorrenza del 2 novembre, nella Chiesa latina si fa risalire all’abate benedettino Odilone di Cluny (961-1049); nel 998, infatti con la riforma cluniacense si stabilì che le campane della storica abbazia di Cluny fossero fatte suonare con rintocchi funebri subito dopo i vespri del primo novembre. Il giorno seguente l’eucarestia sarebbe stata offerta “pro requie omnium defunctorum”. Il rito si diffuse poco a poco nei rituali diocesani e in quelli di altri ordini religiosi fino al Trecento, prima che la Chiesa di Roma l’accogliesse: “Anniversarium ominium animarum“, così si chiamava e, appare per la prima volta nell’Ordo Romanus del secolo XIV.
Nella commemorazione dei defunti, la gente si ritrova a recitare l’antica preghiera de: “L’Eterno Riposo“, il cui breve testo pone in risalto il riposo e la luce, forse ricordando le stesse parole usate dai primi cristiani: infatti in una necropoli cristiana risalente al V secolo e scoperta nel 1911 ad Ain Zara, 14 Km a Sud-est di Tripoli per ben 26 volte si trova scritto sulle tombe questa formula di preghiera: “Requiem aeternam det tibi Dominus et lux perpetua luceat tibi“. Solamente nel VI secolo all’invocazione venne aggiunto: “requiescant in pace”.
Ricordiamoci di chi non è più con noi, portiamo un fiore, recitiamo una preghiera, raccogliamoci in silenzio, ma soprattutto pensiamo al loro essere più profondo, che non è racchiuso nella tomba, poiché esso continua a vivere in una dimensione a noi ancora più sconosciuta, in attesa di risorgere a vita nuova.
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