Diciannove anni senza giustizia e una voragine a marcare idealmente la distanza tra l'Italia e la civiltà. Inefficienze e lungaggini amministrative e giudiziarie hanno aggiunto il peso della frustrazione al dolore di amici e parenti delle 27 vittime del crollo di via Vigna Jacobini di cui oggi ricorre, appunto, il diciannovesimo anniversario. Una di quelle tragedie che occupano per qualche settimana le prime pagine dei quotidiani e le aperture dei tg per poi essere derubricate a cronaca locale. Anzi, “seppellite” per utilizzare il gergo giornalistico.
Stesso destino toccato a Fabio, Claudia, Claudio, Fernanda, Roberto, Giulia, Alessio, Stefano, Giuliano, Massimiliano, Stefano, Veronica, Elisa, Giordano, Giorgia, Giuliano, Filippo, Vincenzo, Rosa, Jolanda, Maria Simonetta, Angela, Edoardo, Giovanna, Jacopo, Giuliano ed Elisa la notte del 16 dicembre 1998 alle 03.06. Ricordare i nomi fa bene alla memoria. Aiuta a focalizzare la tragedia umana consumatasi nel quartiere Portuense di Roma, a pochi chilometri dal centro, da piazza Venezia, dove oggi sorge “Spelacchio“, diventato, improvvisamente, il problema principale della città, a testimonianza di un degrado culturale e sociale che è italiano e non solo romano, è mediatico e non solo popolare.
L'afflizione, il senso di sconfitta, la rabbia sono allora custodite solo nel cuore di chi ha vissuto quella vicenda. Di chi ha sentito il rombo dell'implosione, ha tossito e sputato fuori quella polvere acre che sapeva di morte, si è spezzato la schiena per aiutare i soccorritori, ha sentito mani, piedi e anima congelarsi durante la snervante attesa durata ore e giorni, in bilico fra speranza e disperazione, per poi riconoscere il volto macellato di un genitore, un nipote, un nonno, un fratello, una sorella, un amico spuntare da un lenzuolo bianco, nell'oscurità di una tenda obitorio. E poi il solito carosello di condoglianze istituzionali, promesse, aule di tribunale, chiacchiere e sentenze.
Ecco, di quei fatti oggi esistono solo ricordi. C'è quello umano, personale, e quello del quartiere. Una voragine che si apre dietro lamiere mai rimosse, coperta di erbacce e arbusti. Chi ci passa, ormai, nemmeno ci fa più caso. Così è come se i morti fossero diventati 54, uccisi prima dalla polvere e poi dall'indifferenza.
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