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Bracciano, il lago che scompare: tra prelievi e piogge scarse, a rischio ecosistema e turismo

Il Lago di Bracciano sta scomparendo. Lentamente ma inesorabilmente, come il Lago d’Aral. E, cosa ancora peggiore, l’ennesima riunione congiunta fra Acea Ato 2 (ritenuta da comuni e cittadini in gran parte responsabile del danno, in quanto accusata di prelevare in modo troppo massiccio le acque dello specchio d’acqua per gli acquedotti di Roma) e Regione ha dato nuovamente esito negativo. Non sembrerebbero esserci i presupposti per limitare il prelevamento ma, a quanto pare, nemmeno particolari iniziative per limitare i danni dell’abbassamento del livello del lago sull’ecosistema e la rete di servizi che vi gravita attorno. Insomma, un danno nel danno. Ma andiamo con ordine.

Le quote di Acea

Nel 1990, Acea ottenne dal Ministero dei Lavori pubblici il permesso di attingere dal bacino idrico per rifornire d’acqua il Comune di Roma. Una circostanza che, già allora, non mancò di sollevare più di qualche perplessità a proposito di questa decisione, in particolare in merito alla questione quote: l’autorizzazione ministeriale, infatti, prevedeva un assorbimento d’acqua compreso tra i 1100 s/l e i 5000 l/s. Quote che, come sostiene l’azienda, sono state sempre rispettate. Poi, a seguito del riscontrato abbassamento, il caso è, pochi mesi fa, arrivato in Parlamento e qui qualche accusa è stata mossa: “Il dramma sono i continui prelievi effettuati da Acea Ato 2: quello che sta accadendo al Lago di Bracciano ha dell’incredibile – aveva detto lo scorso 29 gennaio il deputato Pd Emiliano Minnucci, il quale aveva presentato un’interrogazione -. Il lago rischia di morire a causa della condotta scellerata di Acea che, senza considerare la scarsità delle piogge, continua a prelevare le acque anche con punte di 2.500 l/s, rischiando di compromettere l’equilibrio idrico del bacino. Per Acea il nostro lago è un pozzo senza fondo e questo non è più tollerabile”.

Riviera a rischio

Il nodo centrale, dunque, è sempre il solito: la quota d’acqua sottoposta ad assorbimento da parte dell’azienda che, come spiegato nel corso della precedente riunione con il Consorzio del Lago di Bracciano (27 febbraio), ha sempre “rispettato in pieno le condizioni contrattualistiche della Concessione per la gestione del servizio idrico stipulata nel giugno 1990″. La questione è che, nonostante la scarsità di piogge, considerato da Acea “il vero problema”, i prelievi sono continuati e, in buona sostanza, non vi sarebbe modo di limitarne né la quantità né gli effetti, come ribadito anche dal vicesindaco di Trevignano, Luca Galloni, a seguito della nuova riunione conclusa con un nulla di fatto: “Acea – ha spiegato in una nota – continua a prelevare acqua dal nostro lago per servire l’idropotabilità di Roma e di molti Comuni della Città metropolitana in maniera indiscriminata. Tutto il nostro sistema ambientale, ecosistemico, archeologico e socio economico legato alle attività connesse al turismo e alla pesca di cui viviamo, è al limite della compromissione”.

Bracciano e i suoi fratelli

Insomma, un rischio ambientale in piena regola, che rischierebbe di compromettere non solo l’intero sistema di servizi che gravita attorno al bacino lacustre ma anche e soprattutto l’ecosistema ambientale che qui si è sviluppato, in una sorta di agonia lenta e dolorosa. La stessa che, per certi versi, è toccata (o sta toccando) ad altre realtà simili delle quali il Lago d’Aral è solo l’esempio maggiore. Forse meno conosciuta è la vicenda del Lago Owens, negli Stati Uniti, del Lago Poopò, in Bolivia, o quella incredibile del Folsom Lake, in Califronia. E gli esempi potrebbero continuare, tutti accomunati dalle medesime caratteristiche, perfettamente bilanciate tra la cattiva gestione delle risorse idriche e i cambiamenti climatici che, spesso, determinano l’abbassamento delle acque. Ma, in buona parte, anche questi sono da attribuire all’attività umana.

 

Mattia Damiani

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