Primo piano

Vaiolo delle scimmie: in Italia confermati 29 casi

Sono 29 i casi di vaiolo delle scimmie registrati in Italia all’8 giugno. E’ il dato che emerge da un documento di aggiornamento dell’Organizzazione mondiale della sanità pubblicato il 10 giugno. In numeri più alti nell’area europea Oms si evidenziano in Gran Bretagna con 321 casi, Spagna con 2589 e Portogallo con 191. All’8 giugno, 1285 casi confermati in laboratorio e un caso probabile sono stati segnalati in quattro regioni dell’Oms in cui il vaiolo delle scimmie non è comune o non era stato precedentemente segnalato. Al momento, non sono stati segnalati decessi in queste quattro regioni, ma l’Oms prevede un aumento di casi.

Vaia: “Virus può essere nel liquido seminale”

I nostri ricercatori hanno scoperto, primi al mondo, che il virus responsabile del vaiolo delle scimmie può essere presente nel liquido seminale. Li voglio ringraziare e voglio anche ringraziare il nuovo direttore della Virologia Fabrizio Maggi”, ha dichiarato il direttore generale dell’Istituto per le malattie infettive Spallanzani, Francesco Vaia, lanciando anche un messaggio: “Abbiamo sempre detto, anche in tempi difficili, per esempio ai giovani, che ci possiamo e dobbiamo permettere tutto, vivere la vita ma in condizioni di sicurezza”. 

La nota dello Spallanzani

I ricercatori dello Spallanzani, spiega una nota diffusa dall’Istituto nazionale per le malattie infettive, “hanno scoperto, primi al mondo, che il virus responsabile del vaiolo delle scimmie può essere presente nel liquido seminale di una persona affetta da questa malattia in una forma capace di replicarsi. Il virus è stato isolato nei laboratori dell’Istituto dal liquido seminale prelevato da un paziente 6 giorni dopo la comparsa della febbre e, in coltura cellulare, si è dimostrato capace di infettare e di replicarsi in laboratorio”. “Finora, la presenza del materiale genetico del virus è stata rilevata nel liquido seminale di 6 dei 7 pazienti studiati allo Spallanzani, ma in questo caso il virus è stato anche isolato in coltura. I ricercatori dell’Istituto Spallanzani stanno conducendo ulteriori studi sulla durata e persistenza del virus nello sperma e in altri materiali biologici, per comprendere a fondo i meccanismi della trasmissione di questo virus da uomo a uomo. La scoperta potrebbe in particolare fare luce sul ruolo della trasmissione sessuale, ipotizzata nel contesto dell’attuale focolaio che ha coinvolto oltre 1000 casi, segnalati da 28 paesi del mondo in cui tale infezione non è endemica”, prosegue la nota. “Questo risultato fa seguito al lavoro dei ricercatori dell’Istituto su Monkeypox che ha portato all’identificazione dei primi casi italiani, oggetto la settimana scorsa di un articolo sulla rivista del Centro europeo per il controllo delle malattie Eurosurveillance (https://www.eurosurveillance.org/content/10.2807/1560-7917.ES.2 022.27.22.2200421), e al primo sequenziamento di Monkeypox virus in Italia che ha dimostrato l’appartenenza di questo virus al ceppo responsabile dell’attuale diffusione internazionale”, conclude la nota.

Manuela Petrini

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