“Dum Romae consulitur, Saguntum expugnatur” esclamarono gli ambasciatori di Sagunto, lamentandosi della lentezza con cui il Senato romano adottava le sue decisioni militari mentre la loro città veniva espugnata dai cartaginesi. Una massima diventata simbolo della politica che chiacchiera ma non riesce a risolvere i problemi. E che oggi potrebbe essere utilizzata per descrivere quanto sta avvenendo in Siria.
Dopo l’interruzione della tregua e il reciproco scambio di accuse tra Damasco (leggasi Russia) e ribelli (leggasi Stati Uniti) raid e atrocità sono ripresi a pieno ritmo. Lentamente le due superpotenze stanno cercando di riprendere il dialogo per arrivare a un cessate il fuoco definitivo. Ma le trattative sono naufragate e i prossimi appuntamenti diplomatici potrebbero non sortire gli effetti sperati. Nel frattempo la popolazione soffre, stretta fra tre fuochi: le truppe regolari del raìs Bashar al Assad, le milizie dell’Esercito siriano di liberazione, e l’Isis, indebolito ma ancora in grado di provocare stragi.
Il comando delle Operazioni militari ad Aleppo ha annunciato che sono iniziate le operazioni nei quartieri orientali e ha chiesto ai civili di mantenersi lontani dalle posizioni dei “gruppi terroristi”. Le forze armate hanno promesso che i civili che si dirigeranno verso le postazioni dell’esercito non saranno arrestate né interrogate, ma che al contrario sarà offerto loro rifugio. E già si contano i morti tra la popolazione: almeno 7, tra i quali tre bambini e due donne, secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani. E il bilancio delle vittime potrebbe aumentare perché ci sono diversi feriti gravi e dispersi sotto le rovine di un edificio crollato.
Come detto la diplomazia internazionale ha vissuto un nuovo fallimento: è terminata con un nulla di fatto la riunione di una ventina di Paesi del Gruppo internazionale di sostegno alla Siria, a margine dell’Assemblea generale dell’Onu. Washington e Mosca, in sostanza, non hanno trovato un nuovo accordo.
L’inviato Onu per la Siria, Staffan de Mistura, ha parlato di colloqui “dolorosi e deludenti”. Con inusitata franchezza, il ministro degli Esteri russo, Serghei Lavrov, ha detto che “non è successo niente”. “Ci siamo scambiati idee con i russi e prevediamo di tornare a consultarci domani”, ha confermato il segretario di Stato americano, John Kerry. Poi però non ha nascosto la sua delusione: “Non sono meno determinato di ieri, ma sono un po’ più frustrato”. Kerry ha chiesto alla Russia di dimostrare serietà per rinnovare il cessate il fuoco:”Se i russi torneranno con proposte costruttive, le esamineremo”.
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