“Archie è morto alle 12.15 di oggi”, ha dichiarato ai giornalisti Hollie Dance, la madre del 12enne. “Un ragazzo bellissimo. Abbiamo combattuto fino alla fine”, ha aggiunto. Archie Battersbee, dichiarato in stato di morte cerebrale da quattro mesi e al centro di una clamorosa battaglia intrapresa dai genitori per poterlo tenere in vita, è deceduto circa due ore dopo che le macchine per il sostegno vitale erano state staccate.
A nulla, quindi, sono serviti gli sforzi dei genitori di Archie: mamma Hollie e papà Paul hanno cercato in tutti i modi di andare contro il parere dei medici, chiedendo che non fossero rimossi i supporti vitali che tengono in vita il figlio. Si sono rivolti anche alla Corte Europea di Strasburgo dei Diritti dell’Uomo che però si è dichiarata “incompetente a interferire”. I due genitori hanno definito “un’esecuzione” le sentenze emesse in vari gradi di giudizio dai tribunali del Regno Unito. Parlando a Sky News, la scorsa notte, la madre Holli Dance ha detto che l’ospedale “ha chiarito che non abbiamo più opzioni”.
L’Alta Corte di Londra ha respinto anche l’ultima istanza avanzata dai genitori di Archie per ottenere almeno il trasferimento in un hospice vicino a casa, in Essex, e concedergli, come affermato dalla madre, “una morte più degna e pacifica”. Ad Archie è stata negata anche la possibilità di un trasferimento all’estero, nonostante Italia e Giappone si fossero resi disponibili a prendersi cura di lui.
Lo scorso 7 aprile, Archie è stato trovato privo di conoscenza nella sua casa a Southend. Intorno al collo aveva una corda. Non è chiaro cosa sia accaduto, ma si pensa che il ragazzo possa essere vittima di una “blackout challenge”, una pericolosa “sfida” che circola sui social e che consiste in una “prova” di resistenza alla mancanza di ossigeno. E’ stato subito trasferito in ospedale a Londa e collegato a un ventilatore meccanico che gli consente di respirare. L’iter giudiziario è iniziato quando i medici, sospettando la morte cerebrale, poi confermata da una risonanza magnetica, hanno chiesto l’autorizzazione a staccargli la spina. Una decisione che la famiglia ha sempre contestato
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