Lo chiamavano il “re del liscio” ma la musica di Raoul Casadei andava ben oltre i balli di coppia. Il musicista romagnolo si è spento all’Ospedale Bufalini di Cesena, all’età di 83 anni. Ricoverato dal 2 marzo scorso, le sue condizioni di erano improvvisamente aggravate questa mattina, fino a diventare irreversibili. Casadei era stato contagiato dal Covid-19 nelle scorse settimane. Prima del ricovero stava trascorrendo la quarantena fiduciaria a Villamarina di Cesenatico, assieme ai suoi famigliari.
Per Gabry Ponte, nel passaggio di una sua famosa canzone, tutta l’Italia era figlia, oltre che di Pitagora, anche di Casadei. Come a dire che il liscio, simbolo delle balere romagnole ma anche delle estati di milioni di italiani, fosse in qualche modo un emblema del nostro Paese. Studi magistrali, maestro elementare per quasi vent’anni, Raoul Casadei contribuì più di tutti a diffondere la cultura del ballo liscio. E a renderla di fatto un appuntamento quasi fisso nel calendario musicale italiano. Raoul entra nell’orchestra fondata da suo zio Secondo (addirittura negli anni Venti) alla fine degli anni Cinquanta. Da lì, la porterà a un crescendo quasi costante, arrivando a fissare concerti anche per tutto l’anno.
Fra i primi a commentare la scomparsa del Re del liscio è stato Andrea Gnassi, sindaco di Rimini: “Ci sono e ci saranno tanti modi per ricordare la figura di Raoul Casadei, ma a me piace pensare a quello che ci ha dato con la sua musica in una vita piena di cose: gioia e allegria. Il ballo, due persone strette in una casa o una piazza vuota o in mezzo a mille altre coppie, a fendere armonicamente l’aria a tempo di valzer o mazurka. Il liscio già esisteva ed era ed (è) parte di quello che siamo, a Rimini e in Romagna”.
Raoul Casadei, però, aveva rivoluzionato tutto: “Da genere local a passione mainstream, con hit che scalano le classifiche dei dischi italiani più venduti. Non era un compromesso, come lamentavano i puristi del liscio, ma una evoluzione necessaria. E non era facile folklore”. Secondo il sindaco Gnassi, Casadei “proseguiva la grande tradizione del liscio, in cui si miscelavano nelle aie e nelle piazze dei nostri paesi, i valzer viennesi con il ritmo vorticoso, quasi ‘americano’, di chi per un attimo almeno voleva lasciarsi alle spalle povertà e dolore, magari stringendosi o cantando in un attimo di leggerezza”. Chissà quanto ce ne sarebbe bisogno oggi.
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