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DROGATA DA TWITTER UCCIDE IL FIGLIO INIETTANDOGLI SALE

Quando la società isola e dimentica la ricerca di attenzione sui social diventa una tentazione irresistibile per chi è più debole e sensibile. A volte si soddisfa questa esigenza mostrando aspetti salienti della propria vita e intimità, non curandosi del messaggio che può arrivare agli altri. Il legame che si crea con la rete è di una stretta morbosità, con comportamenti che, talvolta, tracimano nella follia. La terribile storia di Lacey Spears va persino oltre questo orizzonte perché quello che è stato irrimediabilmente compromesso dalla ricerca di facile celebrità è la vita di un bambino, spezzata con cinico e scientifico sadismo e sacrificata sull’altare del dio Twitter. Negli anni la donna aveva documentato, cinguettio dopo cinguettio, la lotta del figlio di 5 anni G.P. contro una presunta malattia, ricevendo incoraggiamenti e attestati di stima dagli altri internauti.

Lacey si mostrava insieme al suo piccolo, curato, accudito, seguito nel suo percorso terapeutico. Ma agli utenti, inconsapevoli di quanto stava accadendo, sfuggiva un particolare agghiacciante: era lei stessa che lo uccideva iniettandogli nel corpo dosi di sale. Il cloruro di sodio fa parte del nostro organismo, senza non potremmo vivere, ma quando si superano i limiti dell’assorbimento fisiologico la sua assunzione diventa non meno letale di quella di un altro veleno, dall’arsenico a cianuro e così via. La tortura cui il bambino è stato sottoposto sino all’inevitabile decesso è stata scoperta dal tribunale di New York, che ha infatti condannato Lacey a 25 anni di reclusione. Secondo i giudici della Grande Mela la madre sottoponeva G.P. a flebo forzate di sale attraverso un sondino gastrico usato per alimentarlo. Col risultato che il bimbo accusava terribili dolori ai reni, dovuti all’overdose dell’elemento.

Sintomi che nemmeno i medici riuscivano a spiegarsi, visto che il cloruro di sodio non veniva dato per bocca e G.P. non era consapevole del lento avvelenamento cui stava andando incontro. Per lui la mamma lo stava solo curando, stava provvedendo a farlo stare meglio.Fiducia innocente di un ragazzino nei confronti del suo genitore più caro, la madre single che viveva con lui da sempre. Forse con un papà in casa tutto questo non sarebbe successo ed è questo che rende ancor più agghiacciante la vicenda, il fatto che il bambino sia stato ucciso senza qualcuno che lo potesse difendere o proteggere. Tutto in omaggio all’abnorme vanità della madre, nata per colmare un senso di vuoto perenne. Sono stati i periti ad accertare la dipendenza patologica dalla Rete e gli agenti di polizia a trovare 69 pacchetti di sale dentro la sua abitazione. Non solo, ma nella cronologia del suo pc risultavano ricerche sugli effetti sul fisico del sovradosaggio della sostanza. E internet che, ingannato, l’aveva eletta a eroina locale, ora la condanna non meno dei magistrati.

Luca La Mantia

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