Al passo di marcia, vestiti di mimetica, imbracciano un fucile e tengono il passo al suono di fischietti artigianali, hanno dodici anni e tanta voglia di giocare ma sono stati costretti a combattere la guerra civile del Sud Sudan. Nell’area nord-orientale del Paese, per mano di una milizia governativa, sono stati rapiti dalle proprie famiglie centinaia di bambini per essere addestrati come soldati. La notizia che viene rivelata da organizzazioni non governative, non ha potuto fare una stima precisa sui numeri ma la vicenda pare si stia verificando dalla metà di febbraio.
Le fonti locali riferiscono che nell’ultimo mese i ragazzini attorno ai 12 anni trovati in casa vengono sottratti con la forza dalla famiglia da gruppi armati della Shilluk Militia, sotto il controllo di Johnson Oloni, incaricati di arruolarli come bambini-soldato. In Sud Sudan si combatte da mesi una guerra civile tra i sudditi del presidente Salva Kiir contro i ribelli legati all’ex vice presidente Riek Machar. Lo Stato porta sulle proprie spalle circa mezzo secolo di diatribe e scontri tra etnie e solo recentemente ha conquistato la propria indipendenza e con un grado di civiltà ancora molto arretrato che causa un tasso di mortalità alto, quello infantile supera il 75 per cento.
La sottrazione dei bambini, oltre che per la gravità che costituisce non tenere conto dei diritti dei minori e costringerli all’uso della violenza e della armi, si ripercuote anche sulle comunità che non hanno futuro se non possono avere garanzia di continuità generazionale come dichiara Jonathan Veitch, responsabile di Unicef in Sud Sudan: “Il reclutamento e l’impiego di bambini da parte delle forze armate distrugge le famiglie e le comunità che non hanno nessuno con cui far proseguire la loro sopravvivenza.” Dello stesso avviso anche altre associazioni umanitarie che ritengono responsabili di questi rapimenti, in crescente e preoccupante aumento, entrambi le parti in lotta.
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