In tempi di shutdown, passare da rumors a notizie è un peassaggio fin troppo semplice. Ed ecco che, dall'altra sponda dell'Atlantico, arriva la conferma che al World economic forum di Davos, in Svizzera, non ci sarà il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump. La Casa Bianca ha infatti fatto sapere di aver annullato il viaggio previsto oltreoceano attribuendo le cause di questa decisione alle condizioni dettate dal prolungamento dello stop del governo. Una situazione che, ormai, inizia a pesare in modo considerevole sulla politica americana, ferma ai box da quasi un mese e senza nessuna prospettiva concreta di sblocco all'orizzonte. A risentirne, in questo caso, un forum d'importanza strategica come quello di Davos che, a ogni modo, quest'anno dovrà fare i conti con parecchie assenze eccellenti che vanno da quella scontata della Russia (ultima partecipazione nel 2009) a quella della Francia e della Corea del Sud.
Trump, che aveva costituito una delegazione composta dal segretario al Tesoro Steven Mnuchin, il segretario di Stato Mike Pompeo, il ministro del commercio Wilbur Ross, il rappresentante commerciale degli Stati Uniti Robert Lighthizer e il vice capo dello staff per il coordinamento delle politiche, Chris Liddell, sulla questione Davos è stato chiaro nell'esporre le motivazioni: “Per gli 800.000 grandi lavoratori americani che non ricevono una retribuzione e per garantire che la squadra possa agire secondo necessità”. Una frase sibillina pronunciata dalla portavoce della Casa Bianca, Sarah Sanders, durante una conferenza stampa alla quale, a ogni modo, ha fatto da apripista una dichiarazione piuttosto esplicita del presidente Trump in un tweet di qualche giorno fa: “A causa dell'intransigenza dei democratici sulla sicurezza delle frontiere e della grande importanza della sicurezza per la nostra nazione, sto rispettosamente annullando il mio importantissimo viaggio a Davos, in Svizzera, per il World Economic Forum”.
Assieme alle scuse agli organizzatori del forum svizzero, Trump formula dunque una nuova accusa esplicita ai democratici, ritenuti responsabili del prolungarsi dello shutdown vista la loro reticenza a un accordo sulla questione del muro al confine messicano. Ventisette giorni di stallo sulla questione iniziano a essere tanti (il record è stato già abbondantemente superato) ma, allo stesso tempo, il “muro” alzato dall'opposizione continua a essere altrettanto resistente. I rapporti con la leader della Camera, Nancy Pelosi, stanno già toccando i minimi storici tanto che, in giornata, Trump aveva depennato dall'agenda della speaker i suoi viaggi a Bruxelles, Egitto e Afghanistan. Una mossa vista come un dispetto da parte del presidente che, rivolgendosi alla leader democratica, ha fatto sapere che sarebbe libera di partire con voli commerciali (negando dunque il volo militare, come la procedura dei viaggi ufficiali prevede), consigliandola però di restare a “negoziare con me per la sicurezza dei confini”. Mosse di una partita a scacchi che, ora come ora, è più deleteria che utile alla risoluzione dello shutdown.
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