Si è svolto regolarmente il referendum per l’indipendenza del Kurdistan, nonostante la contrarietà di gran parte della comunità internazionale. I primi risultati ufficiali saranno resi noti nelle prossime ore ma è prevista una valanga di “sì”. Il voto non è vincolante e non è previsto che porterà all’indipendenza in tempi medio brevi. Ad ogni modo la chiamata alle urne è stata salutata dai leader curdi come un fatto storico.
Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha ribadito la ferma opposizione della Turchia, dicendosi pronto, se necessario, a fare intervenire il suo esercito. Un altro Paese confinante, l’Iran, ha manifestato la sua contrarietà, come del resto gli Usa. L’unico Paese che si è dichiarato favorevole è Israele. Si stima che siano circa 30 milioni i curdi che abitano una regione per lo più montagnosa di circa mezzo milione di chilometri quadrati. La popolazione del Kurdistan iracheno è di circa 5 milioni. Tra i 12 e i 15 milioni vivono in Turchia, 6 milioni in Iran e oltre 2 milioni in Siria.
Già durante il regime di Saddam Hussein il Kurdistan iracheno godeva a partire dal 1991 di una sostanziale autonomia, grazie a una “no fly zone” istituita da Usa, Gran Bretagna e Francia. Ma nel 2005, dopo la caduta di Saddam, l’autonomia è stata riconosciuta ufficialmente nella nuova Costituzione federale. I due partiti che tradizionalmente si sono spartiti il potere – e il controllo delle milizie Peshmerga – sono il Partito democratico del Kurdistan (Pdk) legato alla famiglia Barzani, che controlla il capoluogo Erbil, e l‘Unione patriottica del Kurdistan (Upk) legato al clan dei Talabani, di cui fa parte anche il presidente della Repubblica irachena, Fuad Massum. I due schieramenti si sono combattuti in una guerra civile negli anni ’90 che ha provocato migliaia di morti.
Il più convinto sostenitore del referendum è stato il presidente della regione autonoma Massud Barzani. Più prudente, ma sostanzialmente favorevole alla consultazione, l’Upk. Decisamente contraria la “terza forza” emersa a partire dal 2009, il Movimento del Cambiamento (Gorran), per il quale l’obiettivo primario, al momento, è una autentica democratizzazione della regione, a partire dall’elezione di un nuovo presidente.
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