Che il suo accordo fosse il migliore Theresa May lo ha sempre sostenuto. Finora mai, però, era arrivata a porre davanti al Parlamento un bivio di questa portata. Per la prima volta, la premier si dice pronta a chiamarsi fuori, forse anche per verificare se il problema all'ok al suo piano per la Brexit fosse proprio la sua presenza. Una risposta che in parte già aveva, visto che i colleghi conservatori avevano chiesto proprio il suo addio per avallare l'accordo stipulato con Bruxelles. E la premier lo fa in qualche modo capire: “Ho udito con chiarezza l’umore del partito. So che c’è il desiderio di un nuovo approccio e di una nuova leadership nella seconda fase della Brexit. Sono pronta a lasciare questo posto prima di quando intendessi, per il bene della nazione e del partito”. Il senso è chiaro: sul piatto stavolta ci sono le dimissioni, quelle richieste a gran voce senza che, alla prova dei fatti, si fosse mai arrivato a votare la sfiducia.
In sostanza, May se ne andrebbe a patto che a essere votato sia il suo accordo, quello a cui ha lavorato in questi due anni e che ha più volte ritoccato. L'ultima volta, al momento di ridefinire il punto sul backstop irlandese, estremo tentativo di strappare un sì al Parlamento che, però, non era arrivato per la seconda volta di fila. Negli ultimi giorni, però, la musica appariva già cambiata e la prospettiva di un sì al terzo turno di votazioni sempre più probabile, come in parte spiegato anche dal brexiter Jacob Rees-Mogg, fra i sostenitori della linea hard: “Non è un accordo che mi piace, ma è meglio della rinuncia alla Brexit”. Va da sè che, qualora le dimissioni fossero “accettate”, dovrebbe essere a quel punto quasi impossibile che l'accordo non superi la prova del Parlamento.
I Comuni, a ogni modo, dopo aver ricevuto le redini delle trattative hanno sul tavolo otto accordi alternativi a quello May da valutare. Il che, di fatto, conferma i timori che avevano accompagnato il decadimento della guida dell'esecutivo: allungamento dei tempi in attesa di passare in rassegna tutte le proposte. Non una buona notizia, visto che entro il 12 aprile si deve decidere. In caso contrario tutto si protrarrebbe ulteriormente, senza che questo porti con sè sicurezze di sorta.
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