Zamil è un ragazzo come tanti altri. Perché ce ne sono a centinaia che, come lui, dalle moschee vengono arruolati ogni giorno tra le fila degli jihadisti. “Il mio passaggio da giovane religioso a membro dell’Isis è avvenuto proprio in moschea – spiega – nella periferia di Khurmatu. Un emiro dello Stato Islamico è arrivato nel nostro villaggio con l’obiettivo di reclutare uomini per il loro esercito. Ci ha parlato del paradiso, luogo in cui esiste la felicità ultima”. E l’unico modo per raggiungerla, questa felicità ultima, secondo quanto è stato detto a Zamil, è “combattere l’esercito iracheno corrotto e i peshmerga infedeli”. “All’epoca ne sapevo ben poco di Stato Islamico – ammette il diciassettenne – ma decisi comunque di farne parte. Sono stato addestrato per due settimane da altri jihadisti, nel bel mezzo del deserto: mi hanno insegnato l’uso delle mitragliatrici e dell’artiglieria, poi mi hanno istruito sulla creazione di materiale esplosivo e sul combattimento in nome del califfo per l’annientamento di tutti i nemici: gli infedeli, i corrotti e chi combatte con loro”.
La sua famiglia ha tentato di dissuaderlo, senza successo. Lui è stato l’unico, tra i suoi quattro fratelli, ad aderire ai principi della jihad: preso dalle parole dell’emiro ha deciso di scappare di casa, di accaparrarsi il posto in paradiso che a gran voce gli era stato promesso quel giorno in moschea. “Mi hanno notato subito per la mia abilità nel costruire ordigni, e nel giro di poco tempo ero io a piazzare gli esplosivi sul ciglio della strada, tra Baghdad e Khurmatu, ed azionarli con il mio telefono cellulare”.
E dagli ordigni è passato subito in prima linea contro l’esercito iracheno e i peshmerga curdi: “Un giorno –racconta – mi sono sentito dire dall’emiro che quello sarebbe stato il mio ultimo compito come jihadista: ‘Ti mandiamo in una missione che vorrei fare io’, mi disse, ‘entrerai in paradiso prima degli altri”. Fortunatamente, qualcosa ha voluto quel giorno che Zamil fosse fermato dalle guardie irachene proprio mentre era alla guida del camion. Ora, dal carcere, afferma di essere “dispiaciuto per quello che ho fatto. Se mi rilasciano, voglio tornare a scuola”.
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