Serve un governo di transizione civile, subito. Lo hanno ribadito gli organizzatori della protesta che, in Sudan, ha portato alla caduta presidente Omar al-Bashir dopo 30 anni. L'occasione è stato l'incontro con la giunta miliare.
Partiti e movimenti, in una dichiarazione congiunta emessa dopo il vertice, hanno affermato che i loro sostenitori rimarranno in strada finché la richiesta non verrà accolta e che il governo civile transitorio sarà “solo il primo passo verso la caduta del regime“. I manifestanti temono che il periodo di transizione prospettato dai militari per un massimo di due anni possa consentire alle Forze armate, espressione dell'ultradecennale regime fino a questa settimana guidato da al-Bashir, di rimanere al potere o di imporre una figura a loro vicina. Da oltre una settimana un enorme sit-in è in corso davanti al quartier generale delle Forze armate a Khartum.
Il clima, nel Paese africano, sembra essere cambiato da quando, alla guida della giunta, è arrivato Abdel-Fattah Burhan, un generale solo “ispettore” delle Forze armate e per questo senza palesi pendenze per i 300 mila morti del Darfur. Burhan ha promesso uno “sradicamento” del regime anche attraverso la sostituzione con militari di tutti i governatori provinciali. Prospettati inoltre sia processi a chi ha sparato sui contestatori, sia scarcerazioni di chi è finito dentro a causa dello stato d'emergenza imposto da Bashir e prolungato per tre mesi dai militari. Ma soprattutto l'Associazione dei professionisti sudanese, la principale organizzatrice delle proteste partite con rivendicazioni economiche e finite per abbattere un regime, ha potuto annunciare di essersi già seduta nelle ultime ore “al tavolo dei negoziati con l'obiettivo di passare a un potere civile transitorio” assieme ad altri partiti e movimenti attraverso dieci delegati.
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