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George Weah è presidente

George Weah ce l'ha fatta: l'ex campione del Milan, pallone d'oro nel 1995, ha trionfato alle elezioni presidenziali nella sua Liberia conquistando, a 51 anni, il ruolo di guida del Paese. Secondo quanto riportato da Sky News, con lo scrutinio ormai completato, Weah avrebbe ottenuto il larghissimo consenso della popolazione, toccando addirittura il 61,5% delle preferenze, surclassando il rivale, nonché vicepresidente uscente, Joseph Bokai fermatosi al 38,5%. Una vittoria schiacciante, dunque, che porta l'ex stella rossonera alla presidenza della Liberia, apice di un impegno politico avviato subito dopo il ritiro dall'attività agonistica e orientatosi, finora, sul lato umanitario e sul sostegno al popolo liberiano.

Da stella a presidente

Al termine del ballottaggio, dunque, Weah raccoglie così l'eredità di Ellen Johnson Sirleaf che era stata la prima donna africana a essere eletta presidente di una nazione. Del resto, già nel corso degli anni Novanta, quando la sua stella calcistica era al massimo dello splendore, Weah aveva iniziato a prodigarsi per il suo Paese, divenendo un'icona della lotta al razzismo e incarnando, in sé, tutte le aspettative delle giovani generazioni del continente africano. All'epoca, in quanto centravanti del fenomenale Milan di Capello, Weah rappresentava un punto di riferimento per tanti giovani africani che, in lui, vedevano un esempio del riscatto dalle condizioni di degrado sociale nelle quali erano costretti a vivere. Un'aspettativa che, già allora, il neopresidente sentiva come sua responsabilità: ” Mio padre William e mia madre By si erano separati e se n’erano andati lontani – diceva ricordando la sua infanzia-. La nonna aveva radunato tutta la famiglia in una stanza e affittava il resto della casa per qualche soldo. Mangiavamo riso. Riso e basta. Avevo sempre fame”.

Una nuova partita

Le sue radici, anche all'apice del successo, Weah non le aveva mai dimenticate: anche per questo, terminata la carriera sportiva, aveva deciso di adoperarsi per la Liberia e per i suoi giovani nel tentativo, ha sempre sostenuto, di garantire loro la possibilità di avere un futuro. Un impegno che, adesso, avrà modo di mettere in pratica da leader del suo Paese: la carriera di calciatore ormai alle spalle, i giorni negli States, dove ha conseguito una laurea, anche. Ora, davanti a sé, si snodano la complicata pista politica e il peso dell'aspettativa di chi in lui, ex simbolo di speranza, ci ha creduto. E Weah ce l'ha fatta: starà a lui proseguire il lavoro di Sirleaf e adoperarsi concretamente per assicurare alla Liberia, nata sui rottami delle catene degli schiavi liberati, la ricostruzione dopo le due devastanti guerre civili che, nell'arco degli ultimi 28 anni, hanno portato il Paese a soglie di povertà fra le maggiori del mondo. Al suo fianco ci sarà, in qualità di vice, la moglie dell'ex dittatore Charles Taylor, Jewel, una scelta senza dubbio controversa: il marito, condannato a 50 anni per crimini contro l'umanità, è detenuto in Inghilterra. Se la scelta sia giusta lo dirà il tempo. Intanto, colui che era l'eroe sportivo dei giovani africani torna in campo, stavolta per una partita diversa. La più importante.

Mattia Damiani

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