Proseguono gli scontri nella regione di Oromiya, al confine tra Somalia e Etiopia. In una settimana almeno 50 persone sono morte, mentre gli sfollati sono 50 mila. La situazione è critica, tanto da spingere il governo a inviare i militari.
“Non si sono verificate solo vittime – ha detto Lema Megersa, presidente della provincia di Oromya – Più di 50 mila persone sono state costrette ad abbandonare le proprie case“. Il governatore non ha però fornito il numero preciso dei morti.
L’area è da decenni teatro di scontri sporadici. Nel 2004 per allentare le tensioni si è svolto un referendum per determinare lo status degli insediamenti contesi. Ma la consultazione non ha sortito gli effetti sperati. Secondo un’inchiesta parlamentare negli scontri verificatisi a Oromiya e in altre regioni limitrofe tra il 2015 e il 2016 sono rimaste uccise 669 persone.
Le violenze sono percepite come una minaccia per la stabilità dell’Etiopia, uno dei più importanti alleati dell’Occidente in Africa, dotato della maggiore economia della zona. Le parti in causa hanno fornito versioni contraddittorie sull’origine degli scontri della scorsa settimana. Alcuni funzionari della regione hanno detto che è stata provocata dall’uccisione dal capo di un distretto locale e dalle incursioni di una formazione paramilitare proveniente dalla parte somala. I dirigenti di quest’ultima hanno smentito tale ipotesi, affermando che 50 persone di etnia somala sono state uccise martedì scorso nel comune di Aweday a Oromiya.
Domenica scorsa il primo ministro etiope, Hailemariam Desalegn, ha spiegato che i soldati dispiegati nella regione per porre fine la violenza disarmano i residenti e presidiano le strade della regione.
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