La censura del Partito comunista cinese colpisce ancora: le autorità, infatti, hanno chiuso diversi siti privati di informazione on-line, colpevoli di aver pubblicato in modo indipendente articoli su questioni “potenzialmente sensibili”. A diffondere la notizia sono stati i media statali.
I portali chiusi sono Sina, Sohu, Netease e iFeng, tutti siti in lingua cinese, duramente criticati dalle autorità per “il volume di attività in violazione della legge e dei regolamenti”, ovvero la pubblicazione di “un gran numero di notizie raccolte e diffuse su iniziativa propria”.
I giornalisti dei siti di informazioni privati cinesi sono di norma accreditati solo per seguire eventi sportivi e di intrattenimento. Per le notizie legate alla politica o alla cronaca, invece, sono obbligati a utilizzare fonti ufficiali come l’agenzia di Stato, la “Xinhua”; alcuni portali, tuttavia, hanno cerato un sistema di raccolta di notizie o addirittura di giornalismo investigativo.
I controlli delle autorità si sono intensificati notevolmente dal 2013, anno in cui è arrivato alla presidenza Xi Jinping: nello scorso febbraio il leader cinese – nel corso di una visita alla televisione di Stato, la Cctv – aveva sottolineato come i media avrebbero dovuto concentrarsi sulle “notizie positive” e “proteggere l’autorità e l’unità del partito”.
Secondo i dati forniti da fonti ufficiali cinesi nel solo secondo trimestre del 2016 il governo di Pechino ha ordinato la chiusura o la revoca della licenza a 1.475 siti web, cancellando oltre 12mila account internet in un’offensiva diretta contro “l’informazione illegale on-line”.
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