Vietato l'ingresso negli Stati Uniti a 16 persone, sospettate di essere coinvolte a vario titolo nell'assassinio di Jamal Khashoggi, il giornalista del Washington post ucciso lo scorso ottobre mentre si trovava nel consolato saudita di Istanbul. Una decisione annunciata attraverso il segreterio di Stato Mike Pompeo, il quale “denuncia pubblicamente le seguenti persone per i loro ruoli nell'omicidio di Jamal Khashoggi”. Si tratta del primo vero provvedimento messo in atto dal governo statunitense nell'ambito dell'inchiesta sulla morte del giornalista: il divieto, inoltre, si estende anche ai “familiari stretti” delle persone sospette, i nomi delle quali sono stati pubblicati nella giornata di ieri: fra queste ci sarebbero Saud al-Qahtani, ex aiutante del principe ereditario, e Maher Mutreb, che faceva parte dell'entourage del principe ereditario in viaggi all'estero.
Secondo quanto emerso nel corso dell'indagine, nella scomparsa di Khashoggi si individuerebbe un coinvolgimento diretto da parte del principe ereditario di Riyad, Mohammed bin Salman (sul quale il cronista del Wp si era espresso in modo molto critico). Anche per questo, fra le persone a cui è stato interdetto l'accesso negli Stati Uniti rientrano due suoi stretti collaboratori. Prima dell'annuncio di Pompeo, l'amministrazione americana si era limitata a ritirare i visti a circa 20 funzionari sauditi, congelando invece i fondi ad altre 17 persone. Secondo i sospetti dell'Intelligence statunitense, dietro la morte di Khashoggi ci sarebbero proprio alcuni funzionari del principe. Secondo quanto rivelato da un'inchiesta del New York Times circa un mese fa, bin Salman aveva predisposto un'operazione di repressione degli oppositori e, stando al quotidiano newyorkese, il gruppo dietro alla morte di Khashoggi avrebbe preso parte a non meno di una dozzina di “operazioni”.
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