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“I have a dream”, il sogno di uguaglianza di Martin Luther King

Da Gettysburg al National Mall, esattamente 100 anni dopo. Dal 1863 al 1963, da un presidente amato e popolare come Abraham Lincoln a un leader altrettanto carismatico come Martin Luther King, con un unico fil rouge a unire due dei discorsi più celebri della storia statunitense. Un solo grande significato di fondo che, in estrema sintesi, può riassumersi nelle due parole mantra di ogni democrazia: uguaglianza e libertà. L’onesto “Abe” parlò alla nazione in piena Guerra civile, appena quattro mesi e mezzo dopo la sanguinosa battaglia di Gettysburg, conclusa con un’importante vittoria dell’Unione ma al prezzo di decine di migliaia di perdite ripartite su entrambi i fronti; il reverendo King, invece, si rivolse alla folla che, radunata proprio ai piedi del Memorial Lincoln, aveva appena partecipato alla Marcia su Washington per il lavoro e la libertà, considerato uno dei momenti più importanti della lotta ai diritti civili delle comunità afroamericane degli Stati Uniti. Pronunciando le parole “I have a dream…”, iniziando il suo discorso di 17 minuti, Martin Luther King aveva appena iniziato a scrivere una delle pagine più importanti della storia recente della sua nazione.

Da Lincoln a King

E di riferimenti al sedicesimo presidente degli Usa, King ne fece diversi, a cominciare dall’introduzione del suo discorso, nella quale lo considera “un grande americano” che, cento anni prima, firmò il Proclama sull’emancipazione. Ma l’immenso impatto emotivo delle parole di Luther King non sono riassumibili nel parallelismo, pur necessario, con le parole di Lincoln. In quei 17 minuti, il reverendo condensò sogni e speranze di un’intera popolazione che, attraverso la sua voce, era consapevole di ascoltare tutto ciò a cui aspirava, nient’altro che il diritto basilare della grande nazione americana: quello della libertà e dell’uguaglianza sociale, sancito nello stesso atto fondativo del Paese, la Dichiarazione d’indipendenza.

“I have a dream”, un’eredità di speranza

Nel tono soave ma concreto di King, nelle sue parole cariche di sentimento e forza d’animo, intere comunità hanno visto prendere forma le loro speranze e, per l’appunto, i loro sogni di una società accogliente e civile, gli stessi valori che avevano animato coloro che, per primi, sbarcarono sul suolo americano sfuggendo a una politica di persecuzione: “Io ho un sogno, che i miei quattro figli piccoli vivranno un giorno in una nazione nella quale non saranno giudicati per il colore della loro pelle, ma per ciò che la loro persona contiene. Io ho un sogno oggi!”. Nella sua semplice immediatezza, il messaggio di King fu chiarissimo: da quel pomeriggio di agosto del 28 agosto 1963, la battaglia per i diritti civili riacquistò forza e determinazione. Cinque anni dopo, il reverendo venne assassinato, esattamente come Abraham Lincoln 103 anni prima: una tappa, dolorosa, di quel filo rosso che ha unito le due figure nella medesima lotta per la libertà. La sua eredità, esattamente come l’onesto Abe, Martin Luther King l’aveva già impressa nella storia.

redazione

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