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Ma la vera domanda che dovremmo porci è chi realmente andrà a pagare nel senso letterale del termine questa tassa? Saranno le stesse imprese che la producono che comunque se ne servono oppure saranno i singoli cittadini, che specie nel settore alimentare si troveranno a fare i conti con costi maggiorati forse addirittura raddoppiati? Un tema toccato anche da Coldiretti, che vede la nuova tassa come un rischio anche per quei settori produttivi del nostro Made in Italy: “La plastic tax andrà a colpire due terzi della spesa sulle tavole delle famiglie, rischiando di penalizzare l'intera filiera agroalimentare dove si concentra ben il 76% degli imballaggi in plastica”.
L'ingegnere ambientale, Stefano Ciafani, presidente di Legambiente sostiene che la tassa sulla plastica di fatto permetterebbe di affrontare il problema ambientale. A suo avviso andrebbe modulata in due punti cardini: “il primo quello dovrebbe riguardare non solo gli imballaggi ma tutti i manufatti creati con la plastica, e il secondo che andrebbero esentati sia quei prodotti fatti con plastica compostabile sia quelli realizzati con plastica riciclata. Bisogna penalizzare tutto ciò che non va a riciclo in tutti i settori”. Per quanto riguarda su chi realmente ne pagherà il vero costo della tassa, non ha dubbi che sia il cittadino, cosa che però potrebbe portare comunque ad un bene, vale a dire all'orientamento dei consumi.
Arriva il no alla plastic tax per voce di Massimo Slaviero, Presidente del Gruppo Gomma Plastica e chimico di Assindustria Venetocentro Imprenditori Padova Treviso: ” non si agevola l'ambiente tassando gli imballaggi, al contrario, il risultato sarebbe un aggravio dei costi per le famiglie e una potenziale contrazione dei consumi, senza generare alcun tipo di output positivo in termini ambientali. La plastic tax, che inciderà per oltre il 100% sul costo della materia prima (mille euro a tonnellata), rischia di affossare ulteriormente la competitività di un settore di eccellenza che sta già intraprendendo una transizione verso soluzioni più sostenibili. Già oggi, infatti il 15 % della plastica utilizzata proviene da economia circolare, con un trend in continua crescita. Le nostre aziende riconoscono che l'utilizzo degli imballaggi in plastica, essenziali per ridurre gli sprechi di cibo, va responsabilmente gestito anche nella sua fase terminale e stanno investendo in questo senso. La transizione energetica va affrontata, ma incentivando l'innovazione e la tecnologia. Chiedere un patto con le imprese per programmare un Green New Deal come ha fatto il premier Conte e poi mettere tasse per fare cassa è un controsenso concettuale. Il Governo si metta d'accorso con se stesso. Il sentiment tra gli imprenditori padovani e trevigiani della gomma plastica è molto negativo, perché dopo anni difficili, con contrazioni importanti, non è immaginabile investire e cercare competitività e poi essere affondati da tasse mirate su un singolo settore e che colpendo i prodotti italiani favoriranno le importazioni dai produttori nostri concorrenti. Rischiano investimenti, linee di produzione, indotto, occupazione lungo la filiera. Le imprese, peraltro già oggi pagano un contributo ambientale Conai per la raccolta e il riciclo degli imballaggi in plastica per un ammontare di 450 milioni di euro all'anno, dei quali 350 vengono versati ai Comuni per garantire la raccolta differenziata. L'introduzione di una tassa sulla plastica equivarrebbe, quindi, a una sorta di doppia imposizione e, come tale, sarebbe ingiustificata sia sotto il profilo ambientale che economico e sociale”.
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