Una foresta grande quanto un campo da calcio sparisce ogni secondo. Una foresta grande quanto l'intera Italia è sparita nel 2017, vale a dire che 29,4 milioni di ettari distrutti. La triste realtà è stata fotografata da Global forest watch, piattaforma del World resources institute che sfrutta Google maps per vigilare sullo stato di salute della vegetazione mondiale, collaborando con l’Università del Maryland. Ne dà notizia il sito Lifegate. Le cause? Deforestazione, ma anche incendi, senza trascurare fenomeni meteorologici estremi come gli uragani, sempre più frequenti a causa dei cambiamenti climatici. “Perché stanno scomparendo non è un mistero: ampie zone continuano ad essere disboscate per coltivare soia e olio di palma, per il legname o l’allevamento”, ha spiegato Frances Seymour, del World resources institute, al quotidiano britannico Guardian. “In molti casi la deforestazione è illegale e collegata alla corruzione”.
Nelle zone tropicali si è assistito alla maggiore perdita di foreste, con 15,8 milioni di ettari, l'equivalente del Bangladesh. E non è nemmeno il dato peggiore degli ultimi 16 anni. La Colombia, che nel 2018 ha annunciato la creazione di una delle aree protette più grandi al mondo, è stata la nazione ad aver sofferto di più: rispetto al 2016 la perdita di foreste è aumentata del 46 per cento, soprattutto nelle regioni sul confine della foresta amazzonica. Uno dei motivi, per paradosso, è l'accordo di pace tra Governo e guerriglieri delle Farc, che hanno fatto sì che questi ultimi abbandonassero le foreste che prima, sotto il loro controllo, erano tutelate e rese impenetrabili.
Non è positiva la situazione nemmeno nella Repubblica Democratica del Congo, dove il 2017 è stato addirittura l’anno peggiore dall’inizio dei rilevamenti nel 2001, principalmente a causa dell’agricoltura e della produzione di carbone. Buone notizie arrivano invece dall’Indonesia, che ha visto una riduzione nella perdita di foreste vergini del 60 per cento, con punte dell’88 per cento nelle aree che dal 2016 sono protette da attività che rischiano di alterare le qualità idrologiche della torba.
Stati e privati investono ogni anno 100 miliardi di dollari in sussidi e investimenti per l'esportazione di cibo e legname verso altri Paesi. Alcuni dei quali, come Cina e India, sono tra i più grandi importatori al mondo di soia, cellulosa, carta e olio di palma. Questi soldi andrebbero invece dirottati verso la diffusione di una agricoltura sostenibile su terreni non coperti da foreste, sostiene Andreas Dahl-Jorgensen, vice direttore dell'International Climate and Forest Initiative norvegese.
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