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L'Italia senza badanti

E'esperienza quotidiana per milioni di famiglie italiane quanto sia difficile e costoso trovare una qualche forma di assistenza per i loro anziani. Tra le proposte delle organizzazioni non profit e delle associazioni cattoliche maggiormente impegnatenel sociale, oltre a quella di garantire il rinnovo del protocollo per i prossimi corridoi umanitari per i siriani e gli africani del Corno d’Africa, c’è anche quella di prevedere per decreto non meno di 50mila visti per motivi di lavoro. L’Istat, riferisce La Stampa,ha censito in Italia 12.828 presidi residenziali socio-assistenziali e socio sanitari: delle oltre 382 mila persone assistite, 288 mila sono anziani, 218 mila dei quali non più autosufficienti. La forbice tra necessità e servizi è sotto gli occhi di tutti, e si divaricherà sempre di più: secondo le stime dell’Osservatorio nazionale sulla salute, nel 2028 in Italia gli anziani non autosufficienti saranno 6,3 milioni, un numero che rischia di mettere in crisi l’intero sistema socio-sanitario, mentre le famiglie, ammesso che possano permetterselo, si affidano a badanti. E anche qui si naviga nel nero perché quelle contrattualizzate non arrivano a 700 mila, mentre il Censis dice che sono 1, 6 milioni.

Restringimenti

“Le cosiddette badanti non vengono e questo comporta un problema per gli anziani- osserva Sant'Egidio-.Senza le badanti e senza l’assistenza domiciliare o senza la creazione di forme alternative di co-housing tra gli anziani con problemi (gli anziani che non possono piu stare a casa loro) c’è un tasso di mortalità in aumento in Italia”. Quindi “servono 50.000 visti per motivi di lavoro per assistenti familiari, le cosiddette badanti, di cui c’è molto bisogno e che purtroppo sono diminutite per i restringimenti introdotti negli ultimi anni per gli immigrati: ma le famiglie e gli anziani italiani le richiedono molto”. 

Emergenza dimenticata

Secondo la ricerca “Il valore del lavoro domestico” di condotta dall’Associazione Nazionale Famiglie Datori di Lavoro Domestico – Domina, in collaborazione con la Fondazione Leone Moressa che incrocia i dati dell'associaizone con quelli di Inps e Istat, a fine 2017 i lavoratori domestici regolarmente assunti dalle famiglie italiane sono circa 865 mila, con una lieve prevalenza di colf (54,4%) rispetto alle badanti (45,6%). . Le badanti si concentrano nelle regioni del Centro-Nord, mentre le colf sono in prevalenza in Lombardia e Lazio. Pur essendo in grado di affermare che il numero complessivo dei lavoratori domestici in Italia è di circa 2 milioni (con una componente irregolare vicina al 60%), in questa analisi sono trattati solo i lavoratori regolari. Le donne sono in netta maggioranza (88,3%) rispetto agli uomini. L’età media del lavoratore domestico, evidenzia Vita, è 48 anni e nella maggioranza dei casi è assunto da meno di un anno. Spiega alla Stampa Sergio Pasquinelli, sociologo e direttore di ricerca all’Istituto per la Ricerca Sociale (Irs) di Milano: “Sta aumentando la quota di anziani soli e si sta indebolendo la rete tradizionale dell’aiuto familiare sia per la riduzione della natalità che per l’aumento delle separazioni. In questa situazione diventa a volte inevitabile il ricorso alle casi di riposo. E c’è un fenomeno parallelo: per le badanti, rispetto a 15 anni fa, si è ridotta la disponibilità alla convivenza e questo lascia scoperta la domanda di assistenza sulle 24 ore. Se le famiglie non ce la fanno, si rivolgono alle strutture residenziali, un settore dove però l’offerta non cresce di pari passo con l’aumentare degli anziani. Alla fine collochi l’anziano là dove puoi, magari in una struttura non tanto qualificata, ed è lì che può nascere il problema”.

Un quadro in via di peggioramento

Il fenomeno crescente delle demenze complica il quadro, perché non si è ancora sviluppata l’attenzione a formare addetti che abbiano le necessarie competenze. È in questo pozzo senza fondo di bisogni (tra badanti e strutture residenziali e case di riposo, dove una retta oscilla tra 1500 e 3000 euro, metà dei quali a carico del pubblico)  che finiscono le risorse che lo Stato mette a disposizione, concentrate ancora soprattutto nell’indennità di accompagnamento: “Una misura nata 40 anni fa e mai adeguata che costa 13,5 miliardi l’anno – aggiunge alla Stampa Pasquinelli – 520 euro mensili dati a tutti i non autosufficienti anche se hanno livelli di non autosufficienza e condizioni economiche diversi, non tracciata e data sia a chi ha la pensione sociale e a chi ha redditi da Paperone. Invece bisognerebbe riconfigurarla in modo più efficace”. Se dunque in molti casi il ricorso alla cosiddetta “istituzionalizzazione” è inevitabile, o viene ritenuto tale, resta il problema di come garantire la sicurezza di chi viene affidato a mani estranee. Sostiene Franco Pesaresi, direttore dell’Azienda servizio alla Persona di Jesi e membro del centro di ricerca Network Non Autosufficienza: “Quando devi pagare una retta di 1200-1500 euro al mese, e il 70% delle pensioni in Italia sono sotto i mille euro, è chiaro che l’anziano spende tutto e la famiglia deve contribuire. Ma le Regioni offrono contributi bassi e siccome la redditività di questo settore è limitata, ecco perché certe strutture cercano artifici per spendere meno e guadagnare in modo irregolare”. 

Giacomo Galeazzi

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