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Gabrielli: “Senza integrazione si favorisce la criminalità”

Su 60 mila detenuti in Italia, 20 mila sono stranieri. “Negli ultimi anni si registra un aumento degli stranieri coinvolti tra arrestati e denunciati“, afferma il capo della polizia Franco Gabrielli, sottolineando che “nel 2016, su 893mila persone denunciate e arrestate, avevamo il 29,2% degli stranieri coinvolti; nel 2017 il 29,8%, nel 2018 il 32% e in questo 2019 siamo quasi al 32%”. Tenendo conto che gli stranieri nel nostro paese, sono il 12%, tra legalmente in Italia  e non, “questo dà la misura del problema“, aggiunge Gabrielli, quindi “per gli stranieri che restano in Italia è necessario costruire percorsi di integrazione altrimenti si creeranno condizioni favorevoli a illegalità, degrado, criminalità e terrorismo”.

Il nodo della detenzione

Un detenuto su tre, quindi, non è italiano. “Secondo i dati più recenti del Ministero della Giustizia, i detenuti presenti negli istituti penitenziari in Italia sono in totale 58.569 (su una capienza regolare di 50.615 posti), distribuiti in 190 strutture- evidenzia l’Agi-.I detenuti stranieri sono 19.929: il 34 per cento sul totale, quasi un terzo esatto. I cittadini italiani sono 38.640”. Nei confronti degli stranieri si usa in misura maggiore la custodia cautelare, cioè il carcere prima della conclusione del processo. Tra i detenuti in attesa di giudizio, gli stranieri sono il 37,7 per cento (3.640 individui), mentre tra quelli condannati in via definitiva la percentuale scende al 31,6 per cento”. Chi è straniero ha insomma maggiore difficoltà ad accedere a misure alternative al carcere. su un totale di 5.433 individui soggetti a misure di sicurezza non detentive, solo il 9,5 per cento è composto da stranieri, comunitari e non. Discorso analogo vale per le sanzioni sostitutive e quelle non detentive, in cui le percentuali di stranieri coinvolti è rispettivamente del 14,6 per cento e del 12,6 per cento.

I paesi di provenienza

Le nazionalità presenti nelle carceri italiane sono 140. In percentuale, i primi in classifica sono i cittadini marocchini (il 18,5 per cento dei detenuti stranieri), seguiti dai rumeni (12,9 per cento), gli albanesi (12,7 per cento) e i tunisini (10,8 per cento). Paesi come Nigeria e Senegal raggiungono percentuali più basse, rispettivamente del 6,2 per cento e del 2,4 per cento.

I costi per lo Stato

Nel suo rapporto, l’Associazione Antigone ha calcolato che per l’anno in corso, sul budget preventivo di circa 2,9 miliardi di euro del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria,  il costo giornaliero per detenuto è previsto essere di 137,02 euro, praticamente stabile rispetto ai 137,34 euro del 2017. Di questo budget, l’80 per cento è comunque destinato alle spese del personale civile e di polizia penitenziaria. “Lo Stato spende 9,26 euro al giorno per il mantenimento in senso stretto di ogni detenuto: un totale di 277,8 euro mensili- evidenzia l’Agi”. A fronte di 20 mila  cittadini non italiani presenti negli istituti penitenziari, è esiguo il numero di irregolari espulsi. Il problema è di natura giuridica.

I trasferimenti

La questione del trasferimento dei detenuti stranieri è regolamentata dalla convenzione di Strasburgo del 1983, entrata in vigore in Italia sei anni più tardi 1989 All’articolo 3, la convenzione, sottoscritta solo da alcuni Paesi, afferma che una persona può essere trasferita solo in specifiche condizioni. Per esempio, la sentenza di condanna deve essere per almeno sei mesi di reclusione e definitiva, e il condannato deve acconsentire al trasferimento. Inoltre, la legge sull’introduzione del delitto di tortura del 14 luglio 2017 impedisce di estradare una persona quando ci sono motivi fondati di ritenere che essa rischia di essere sottoposta a tortura. Come sottolineato dal rapporto dell’Associazione Antigone, almeno 806 detenuti non dovrebbero essere trasferiti nei loro Paesi di origine e hanno diritto a restare in Italia. 217 vengono dalla Libia, 37 dal Sudan e 642 dall’Egitto. “Un’ulteriore difficoltà nei rimpatri riguarda la necessità di trovare accordi con i Paesi di origine”, puntualizza l’Agi.

Le misure cautelari

Il Regno Unito ha stretto accordi con alcuni Paesi per “svuotare” le proprie carceri, con scarsi risultati. Per esempio, l’accordo con la Nigeria sottoscritto da Londra ha un impatto stimato di riduzione dell’1 per cento sulla popolazione carceraria straniera nel Regno Unito. Gli altri accordi britannici con Paesi extra-Ue non hanno dato esiti migliori: il totale dei detenuti trasferiti all’estero dal Regno Unito, nella cornice di accordi di trasferimento obbligatorio, ammonta in un anno a 18 solo individui. Di questi, diciassette sono stati rimandati in Albania e uno in Nigeria. Un terzo della popolazione carceraria è composta da stranieri. “Ma per comprendere meglio la questione, è fondamentale fare delle distinzioni, per esempio, tra stranieri residenti e quelli irregolari, e sottolineare il maggiore ricorso alle misure cautelari per chi non è cittadino italiano- precisa l’Agi-.Mentre il costo giornaliero per singolo detenuto è stimato in circa 137 euro, la volontà di rimpatriare i detenuti stranieri e di “svuotare le carceri” si scontra almeno con due problemi. Uno giuridico, che potrebbe comportare la revisione di accordi internazionali e leggi nazionali; l’altro di efficacia. Il caso del Regno Unito, ad esempio, che ha preso alcune misure per effettuare rimpatri, non mostra risultati incoraggianti”.

Giacomo Galeazzi

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