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“Sindrome del Marchese del Grillo”: natura, significato, cause

La “Sindrome del Marchese del Grillo” è la tendenza a ignorare o censurare le richieste di confronto, a livello politico e sociale e, in termini contemporanei e universali, anche le discussioni on line, per affermare egoisticamente il proprio “io”. Il fenomeno riprende il famoso film interpretato da Alberto Sordi nel 1981, in cui il nobile, della Roma di inizio Ottocento, mostra tutto il suo potere, contesta i privilegi ma ne dispone a suo piacimento senza freni e senza controllo sociale, nella piena consapevolezza della propria impunità che celebra corrompendo i giudici. La sindrome è riassumibile, efficacemente, nell’affermazione dell’attore Io sono io, voi non siete nulla (espressa, nel film, attraverso un termine più triviale, con l’intento di rafforzarne il significato).

Il personaggio incarna le caratteristiche del pieno individualismo, basato sull’esclusivo soddisfacimento degli interessi personali, ottenuto con l’esercizio del potere, dei soldi e dello sfruttamento del prossimo in quanto funzionale al proprio progetto. L’egoista giocherellone, di maniere infantili, che relativizza tutto, incarna diversi ruoli e, nella noia delle ore trascorse, si inventa paladino di alcune rivendicazioni del popolo per poi disattenderle con atteggiamento disinteressato e sprezzante. Le battaglie che intraprende sono frutto di voglia di rompere la monotonia e di sorprendere più che un’adesione consapevole ai valori e ai contenuti.

Nel mondo antico, i potenti hanno esercitato spesso il loro dominio nel disinteresse delle comunità che comandavano, complice anche una palese convinzione che alcuni fossero schiavi per natura (concetto presente anche in illustri maestri come Platone e Aristotele). Lo stile indifferente del Marchese si riscontra, oggi, nel potente che può disporre di mezzi e denaro per soddisfare i propri capricci e imporre le proprie volontà. L’atteggiamento insensibile è anche “patrimonio” della gente comune, che lo esercita anche senza ricondurlo al nobile romano. Il menefreghismo, in questa fattispecie, è universale e democratico, in quanto la posizione di potere che si occupa, spinge a considerare tutti allo stesso livello, tutti potenziali destinatari di indifferenza.

Santa Teresa di Calcutta richiamava l’attenzione affermando “Il vero male è l’indifferenza”. Nel linguaggio politico, a volte, si denuncia tale sindrome proprio per criticare il carattere arbitrario, autoritario e insensibile che contraddistingue le decisioni prese dagli avversari. Ne risulta colpito chi si sente in dovere di “fare la morale” e di esprimere giudizi o paternali dall’alto del proprio pulpito, senza la delicatezza di ascoltare e di comprendere a fondo (poiché non prova per primo il disagio), come avvenuto, a esempio, in passato, per le critiche dei ministri ai “bamboccioni”, ai 28enni non ancora laureati e agli “choosy” (gli schizzinosi) che rifiuterebbero i lavori meno importanti per aspirare solo a quello perfetto. È auspicabile saper comprendere le difficoltà dell’altro senza generalizzare, giudicare e pontificare.

Lo scrittore Gaetano Cappelli ha pubblicato, lo scorso 8 luglio, per “Otigo” il libro dal titolo “Lo snob” (sottotitolo “nella società dello snobismo di massa”). Nel volume, l’autore traccia un approfondimento, anche di carattere storico, della figura dello snob. Si riferisce, innanzitutto, a quello del passato, presente presso le corti e i salotti inglesi e francesi, per giungere a quello moderno, condizionato dai social e dalla società di massa.

In tema di impunità nel web, la rivista mensile Wired il 5 maggio scorso riportava alcune importanti informazioni riguardo l’odio (hate) di cui è permeato Internet. Si legge: “L’hate speech corre impunito su web e social: dal 2016 al 2021, l’80% dei procedimenti penali per discorsi d’odio viene archiviato o finisce con l’assoluzione. L’impunità sostanziale di queste azioni, che insieme a diffamazione, sostituzione di persona, challenge mortali, costituiscono la massa ancora indefinita dei reati online, ha diverse concause disseminate nella ‘catena del controllo’, alcune delle quali però consistono in specifici ‘buchi normativi’. L’impossibilità di identificare l’autore, per esempio. Oppure gli intricati aspetti della giurisdizione e del giudice competenti (non bisogna dimenticare che le piattaforme sulle quali i reati vengono consumati sono aziende con sedi all’estero e rappresentanze in Paesi europei ma non in Italia). Ma anche la difficoltà di inquadrare alcune attività, si pensi alle blackout challenge, nella ‘tradizionale’ fattispecie della istigazione al suicidio.

Per alcuni nichilisti, convinti dell’assenza oggettiva di valore e di senso, come Jean-Paul Sartre che afferma “L’inferno sono gli altri” e considera il singolo come “Un essere truccato per natura, la conflittualità è duplice e la vita è sofferenza personale. Nel caso, invece, del disinteresse di coloro che sono riconducibili al Marchese del Grillo, l’ individuo non soffre di angosce personali e vive, indisturbato, nel godimento materiale, fuggendo le responsabilità quotidiane con l’illusione che, non pensandoci, si possano evitare. Nell’assoluta megalomania, il “malato” è convinto pienamente della sua onnipotenza, per cui arriva a immaginarsi “creatore di se stesso”, negando ogni aspetto sovrannaturale, come se fosse in un rapporto tra pari con Dio. Si autoassolve per le proprie colpe o, quantomeno, minimizza i propri peccati. Si salva da solo, redime se stesso.

Costui è indifferente alle regole, a lui tutto è concesso. L’essenza dei propri progetti è una fredda contabilità di solo “avere”. Sguazza nel relativismo e nell’anarchia, senza preoccupazione di dover dar conto alle proprie azioni. Occorre una maggiore riprovazione sociale, poiché la foggia goliardica e innocente di cui si contorna, tende, diabolicamente, a distogliere l’attenzione sul vero aspetto, duro e dannoso per il prossimo.

L’applicazione e la deriva più tangibili, anche perché meno rischiose, della sindrome sono quelle relative al web e ai social, in cui l’autoritarismo e la noncuranza nei confronti del pensiero altrui, costituiscono ingredienti di largo consumo. I “leoni da tastiera” sghignazzano nel loro irriverente piacere di esprimere odio e regalare offese agli interlocutori. Il “Marchese del web” espone la propria contraddittorietà, saltando da un’opinione a quella decisamente opposta a seconda del post da denigrare: non ha una linea di giudizio ma aspira a divenire un cangiante capopopolo. Circondato dal suo narcisismo e dall’impunità che, spesso ne consegue, si giustifica e non nutre alcuna sensibilità per l’offesa e il danno che reca all’altro.

Le guerre si combattono sui terreni di scontro, nei mari e nei cieli ma è, nel piccolo quotidiano di ognuno, che rischiano di crescere il contrasto e la rabbia che alimentano l’astio. Come in una catena alimentare, si assiste a una catena dell’odio, dove l’animale più piccolo è divorato da quello più grande, sino ad arrivare ai conflitti internazionali. La catena va spezzata e trasformata in un filo, una cima di salvataggio, un collante sociale, in una quotidiana corona, di grani.

Marco Managò

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