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Tra guerra e occasioni perse ecco perché “da 7 anni non c’è pace in Burkina Faso”

Pace, guerra e occasioni perse in Burkina Faso. A raccontare a In Terris la tragica situazione del martoriato paese africano è Virginio Pietra. Gà rappresentante di Medicus Mundi Italia in Burkina Faso.”Il Burkina Faso è uno dei paesi più poveri al mondo– afferma Pietra-. Si confronta con un’insurrezione jihadista che colpisce ormai quasi la metà del territorio. Provocando migliaia di vittime, soprattutto civili. E due milioni di sfollati, cioè un abitante su dieci“. Il perdurare dell’insurrezione ha portato inoltre a gravi scontri interetnici. E ha sgretolato le istituzioni democratiche. Con due colpi di stato militari negli ultimi nove mesi. Nel corso del golpe del settembre 2022, la folla ha attaccato l’ambasciata di Francia. Accusando gli ex colonizzatori di sostenere la giunta precedente. Sono stati vandalizzati i due centri culturali francesi. Una mobilitazione violenta con cui sono stati reclamati accordi militari con la Russia.

Senza pace

“È l’immagine di un paese in preda al caos. Dove gli italiani sono circa duecento, la maggioranza dei quali lavora per progetti di cooperazione– aggiunge Virginio Pietra-. Vivono tra continue allerte e con forti limitazioni negli spostamenti. Perché il rischio di attentati o di rapimenti è molto elevato. Eppure, fino a sette anni fa il Burkina era considerato stabile, democratico. Ed era portato ad esempio di convivenza pacifica tra diverse etnie e tra diverse religioni”. Per quanto la maggioranza degli abitanti sia musulmana, in Burkina è cresciuta la più importante comunità cristiana del Sahel. Questo rapido e radicale mutamento è dovuto sia a fattori esterni che a fattori interni“. Il fattore esterno è la guerra del Sahel. Iniziata nel 2012. Dopo il crollo del regime di Gheddafi, che ha subito coinvolto il Mali. E in seguito il Niger ed il Burkina Faso. In questa guerra asimmetrica si confrontano realtà contrapposte. Da un lato una galassia di gruppi armati aderenti ad Al Qaeda o allo Stato Islamico. E dall’altro gli eserciti regolari supportati da milizie armate. Da contingenti occidentali (in primo luogo francesi e statunitensi, ma anche italiani). O come di recente in Mali, dal gruppo russo Wagner.

Frontiera esterna Ue

L’obiettivo dichiarato dell’intervento occidentale, precisa Virginio Pietra, è la difesa dal terrorismo di una delle principali ‘frontiere esterne’ dell’Europa. “Ma analisi alternative parlano di lotta per il controllo delle risorse energetiche, uranio e petrolio– sostiene l’ex responsabile di Medicus Mundi Italia-. In ogni caso, il coinvolgimento del Burkina Faso era inevitabile. Solo l’estremo Nord del paese è in area saheliana. Però tutto il territorio burkinabé è essenziale per la logistica di entrambi gli schieramenti. Quindi una scelta di campo era obbligata”. Acuni anni di neutralità si risolsero in pratica in un “laissez passer “per i jihadisti. Poi nel 2015 è stata eletta un’equipe dirigente favorevole ad accordi militari con la Francia. Subito dopo l’insediamento del nuovo governo sono cominciati gli attentati. E si sono costituiti gruppi locali jihadisti che hanno scatenato la guerriglia.

Guerra del Sahel

“La guerra del Sahel è sicuramente il fattore che ha innescato la spirale di violenza in Burkina Faso- spiega Virginio Pietra-. Ma il suo impatto sarebbe stato molto più ridotto in circostanza diverse. E cioè se all’interno del paese non fossero esistite forti diseguaglianze nella ripartizione delle risorse sul territorio. E ciò ha favorito lo sviluppo di movimenti insurrezionali. Grazie a trent’anni di stabilità interna ed all’aiuto internazionale il Burkina ha realizzato lenti ma importanti progressi“. In ambito sanitario, per esempio, il programma di vaccinazione. Messo in piedi dall’Unicef negli anni ’80 attaverso un finanziamento italiano. E che ha permesso di dimezzare la mortalità dei bambini. Ciononostante, le zone popolate da etnie politicamente più deboli sono rimaste indietro. In queste zone è più scarsa la copertura in centri sanitari. Ma anche in scuole, strade e punti di acqua potabile. “Qui lo Stato si manifesta soprattutto attraverso le sue strutture repressive– osserva Virginio Pietra-. E spesso con la corruzione dei suoi funzionari”.

Sos diseguaglianze

Queste diseguaglianze sono state ereditate dall’epoca coloniale. Ed erano presenti anche negli anni ‘80. Quando l’allora presidente del Burkina, Thomas Sankara, indirizzò la cooperazione italiana verso la porzione saheliana del paese. “Proprio quella che oggi è l’epicentro dell’insurrezione- commenta Virginio Pietra -. L’obiettivo era non solo quello di migliorare la copertura in servizi di base. Ma soprattutto di sviluppare infrastrutture a supporto dell’economia del Sahel burkinabé. Basata sull’allevamento e sull’estrazione di oro. Gli interventi italiani implicavano grandi imprese ed ong. Però diminuirono opo pochi anni. Sia perché Sankara venne rovesciato da un colpo di Stato e ucciso. Sia a causa della riduzione dei fondi destinati alla cooperazione. E’ fondamentale ristabilire la presenza dello Stato. Nella sua funzione di erogatore di servizi e di supporto allo sviluppo del territorio”. L’obiettivo è riproposto oggi dalla comunità internazionale. Come uno dei cardini dell’intervento per pacificare il Sahel.

Occasione di pace

“Bisogna evitare che la guerra cancelli i progressi realizzati – avverte Virginio Pietra-. Speriamo che questo approccio sia ancora praticabile. Resta in ogni caso la consapevolezza che tanti anni fa sia stata persa un’occasione. Avrebbe potuto evitare sofferenze a milioni di persone“.

 

 

Giacomo Galeazzi

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