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Come può evolvere il conflitto Israele-Hamas. L’analisi dell’esperto Umberto De Giovannangeli

A quasi una settimana da quando questo tassello mediorientale della “guerra mondiale a pezzi”, come ricorda alle nostre coscienze e ci ammonisce papa Francesco, ha di nuovo ripreso ad agitarsi, ci si interroga se – e quando – salirà il livello dello scontro tra Israele e i miliziani di Hamas, e quali scenari, anche a livello regionale, l’escalation determinerà. Interris.it si è rivolto al giornalista esperto di Medio Oriente e collaboratore della rivista di geopolitica “LimesUmberto De Giovannangeli.

La Lega araba, riunitasi mercoledì al Cairo, teme che la situazione possa peggiorare. C’è il rischio che il conflitto si allarghi a livello regionale?

“La situazione è in continua evoluzione, siamo di fronte a un’escalation che potrà portare ad altre vittime e a un’estensione del conflitto. Le variabili sono tante e non tutte controllabili, il Medio Oriente è tornato ad essere una polveriera. Ci sono segnali che lasciano intendere preoccupanti sviluppi, come gli attacchi tra l’esercito israeliano e le milizie di Hezbollah al confine con il Libano, e le notizie che danno i media siriani di raid aerei attribuiti a Israele sugli aeroporti di Damasco e Aleppo. In Cisgiordania Hamas è meno radicata ma l’Autorità nazionale palestinese è poco in grado di controllare il territorio e abbiamo sentito gli appelli dei leader dei miliziani che chiedono il sostegno ai gruppi armati presenti in quell’area, come la Tana dei leoni”.

Cosa accade sulla Linea Blu, il confine di demarcazione tra il Paese dei cedri e lo Stato di Israele?

“Siamo di fronte ad avvisaglie, non c’è ancora un secondo fronte aperto. I media di una parte parlano di attacchi e di bombardamenti israeliani, gli altri di azioni con droni da parte di Hezbollah. Non credo che al leader dei miliziani sciiti libanesi Hassan Nasrallah convenga aprire un fronte con Israele, dato che il Libano oggi è praticamente uno Stato in default e si avvicinano le elezioni presidenziali, a cui Hezbollah presenta un candidato”.

Il ministro degli Esteri italiano Antonio Tajani ha detto che “l’Egitto è un paese importante per raggiungere una de-escalation in Medio Oriente”. L’Arabia Saudita ha fatto sapere di essere impegnata per prevenire l’escalation a Gaza e nelle aree limitrofe. Chi può impegnarsi in una mediazione diplomatica?

“Nessun è può affidabile di altri e la questione palestinese è sempre stata cavalcata solo strumentalmente. Ognuno segue i propri interessi, che sono spesso in contrasto con quelli di qualcun altro. Il Qatar, per esempio, gioca su più tavoli: ‘ospita’ l’ufficio politico estero di Hamas e al tempo stesso lì si sono svolti i mondiali di calcio. Adesso l’Arabia Saudita non può pensare di continuare nel processo di normalizzazione dei rapporti con Israele, di fronte all’entusiasmo delle popolazioni arabe per questo conflitto. L’Iran ha un rapporto radicato con il braccio operativo di Hamas e non ha certo interesse che vada avanti l’avvicinamento tra Israele e il mondo arabo, ma come hanno detto fonti di intelligence statunitensi e francesi gli stessi iraniani sono stati spiazzati quantomeno dalla profondità dell’operazione di sabato scorso. Chi è sicuramente interessato a una pacificazione è il re giordano, per motivi sia di contiguità territoriale sia perché ospita molti profughi palestinesi. I giocatori su questo scenario sono tanti, ma vedo prevalere la ‘diplomazia delle armi’, invece di quella della ragionevolezza”.

Gli sfollati da Gaza sono oltre 300mila. Dove trovano riparo?

“Sono intrappolati nella Striscia, dove c’è la più alta densità abitativa al mondo. Sono sfollati interni, per cui cercano rifugio in quelle parti della città non ancora rase al suolo, per poi spostarsi nelle altre quando quelle saranno colpite, nonché nelle scuole dell’Agenzia delle Nazioni unite per il soccorso e l’occupazione (Unrwa)”.

Qual è il ruolo e che peso ha l’Occidente in questa situazione?

“In quella parte del mondo quando si parla di ‘Occidente’ si parla di Stati Uniti. Il presidente Usa Joe Biden cercherà di contenere la reazione israeliana perché l’America non vuole essere riportata nella polveriera mediorientale da cui è uscita. L’Unione europea può lanciare appelli e prendere contatti, ma in quell’area ha potere di intercessione pari a zero”.

Cosa significa il venire meno dell’effetto deterrenza di Israele?

“Dal punto di vista della psicologia della nazione è qualcosa di sconvolgente. Anche se da 75 anni vive sapendo di poter essere attaccato in ogni momento, Israele ha visto che ha intorno a sé nemici che lo vogliono annientare e che le sue forze armate non sono invincibili come pensava. Il Paese si interroga sul perché e questa domanda trova risposta non solo nelle capacità di Hamas, ma anche nella lacerazione interna alla società israeliana, di cui l’esercito è una parte importante”.

Lorenzo Cipolla

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