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“Asd Polizia Penitenziaria”, lo sport che trasmette inclusione e legalità

Lo sport ha una grande funzione di inclusione nei confronti delle persone con fragilità, nonché di aggregazione sociale e portabandiera della legalità nei luoghi più periferici.

L’esperienza di “Asd Polizia Penitenziaria”

A Sondrio, nel quartiere periferico “La Piastra”, dal giugno 2020, ha aperto i battenti la palestra sociale di judo denominata “Asd Polizia Penitenziaria”. In essa, la pratica dell’attività sportiva ad ogni livello, si unisce al perseguimento della legalità e all’aiuto alle persone in difficoltà, sia durante la fase di maggior recrudescenza della pandemia da Covid – 19, consentendo ai bambini privi di mezzi di disporre per gli strumenti della didattica a distanza, che sul versante dell’emergenza ucraina, dando l’opportunità a dei profughi di praticare sport. Interris.it, in merito a questa esperienza di sport sociale, ha intervistato il suo fondatore Maurizio Dura, agente della Polizia di Stato in quiescenza e allenatore di judo che ha prestato servizio in alcune delle aree più difficili di Napoli, tra cui i Quartieri Spagnoli e Scampia, operando sul campo nell’ambito della polizia giudiziaria investigativa, in prima linea nel contrasto alla criminalità di strada e alla camorra.

Il fondatore di “Asd Polizia Penitenziaria” Maurizio Dura

L’intervista

Come nasce e che obiettivi ha “Asd Polizia Penitenziaria”?

“Asd Polizia Penitenziaria” è nata da un progetto che si chiama “Valtellina Judo”. Il judo è la mia attività da tanto tempo ed ho iniziato a praticarlo nella palestra “Maddaloni” a Scampia. Il nostro obiettivo è cercare di includere i ragazzi attraverso lo sport, cercando soprattutto di far capire loro qual è il bene e qual è il male, senza escludere nessuno. Proseguiamo l’inclusione a 360 gradi di ogni fragilità e disabilità. Il judo deve essere per tutti. Ognuno lo pratica come può. In particolare, in questo sport, non è importante vincere l’avversario o buttarlo a terra ma, la cosa più importante è tendergli la mano per rialzarsi. Dico sempre che, gli ultimi possono essere i primi se vengono adeguatamente supportati. Collaboriamo da molto tempo con le Fiamme Azzurre, il gruppo sportivo della Polizia Penitenziaria quindi, il nostro fine, è trasmettere i valori della legalità attraverso lo sport in una palestra sociale nella quale, tutti, hanno le stesse opportunità che hanno gli altri, indipendentemente dalla loro condizione economica e sociale.”

Lo sport, in base alla sua esperienza, che valore ha per favorire l’inclusione delle persone con diverse fragilità?

“Lo sport è molto importante. Divido gli sport individuali dagli sport di squadra. Operando con diversi bambini con disabilità, ad esempio con autismo ed ho dovuto affrontare una situazione abbastanza particolare, ossia mi veniva chiesto se vi fosse un corso apposito per loro ed io rispondevo di no in quanto, gli altri bambini, devono imparare a rispettare e aiutare il bambino con autismo e i suoi parametri. Inoltre, se facciamo una gara ed egli non riesce a fare determinati esercizi, dobbiamo stare vicino a lui e, i ragazzi, sono molto contenti. Questo è il lavoro di squadra da fare. Qui sono stati premiati i bambini che hanno aiutato gli altri a diventare più bravi di loro. Addirittura, uno di loro, dopo aver vinto una gara, ha esultato ma, quando è venuto in palestra, ha dedicato la medaglia a loro e li ha ringraziati per il loro supporto. Ciò rappresenta la vittoria più bella dello sport.”

Qual è il suo auspicio per lo sviluppo del judo come disciplina paralimpica?

“Per quanto riguarda gli altri sport paralimpici, i ragazzi che li praticano a certi livelli, vengono assorbiti dai diversi gruppi sportivi e, di conseguenza supportati e quindi si ha un maggiore incentivo nella pratica di tali sport. Invece, per il judo, ciò non è previsto, nonostante sia una disciplina paralimpica e mi dispiace per i ragazzi che lo praticano e vorrei sottolineare la questione per avere una risposta per loro.”

Christian Cabello

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