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Il futuro dell’Afghanistan dopo il ritiro del contingente militare internazionale

Il 1° maggio scorso e iniziato ufficialmente il ritiro delle forze militari internazionali dall’Afghanistan. L’esercito degli Stati Uniti ha già provveduto a ritirare più della metà del suo contingente e delle relative attrezzature e, nei giorni scorsi, la Germania e l‘Italia hanno ritirato i loro ultimi contingenti militari rimasti nel paese dopo quasi vent’anni di dispiegamento sul campo. Questi contingenti facevano parte di una missione posta sotto l’usbergo della Nato con l’obiettivo di consigliare ed addestrare i soldati dell’esercito afghano e delle locali forze di polizia.

I contingenti dispiegati nel corso degli anni e la situazione attuale

Tanto premesso, il contingente italiano aveva la propria base nella città di Herat – nei pressi del confine iraniano – con un dispiegamento, negli ultimi 20 anni, di oltre 50.000 soldati tra cui si contano oltre 700 feriti e 53 deceduti. In particolare, lo scorso 2 luglio, l’esercito degli Stati Uniti, ha lasciato la base aerea di Bagram, ubicata nell’Afghanistan centrale – a 69 km a nord di Kabul – che ha rappresentato, fin dal 2001, un simbolo della presenza statunitense nel sopracitato Paese. Questo evento ha una valenza simbolica molto forte, in quanto, la presenza statunitense in questo luogo perdura dal 2001, ossia poco tempo dopo gli attacchi terroristici alle Torri Gemelle. Nonostante il ritiro delle forze militari, il mese di giugno 2021 risulta essere il più letale degli ultimi 20 anni, a titolo esemplificativo si pensi che – secondo le notizie riportate dai media locali – in questo periodo 638 militari e civili sono stati uccisi dai talebani ed oltre 1060 sono rimasti feriti in attacchi di varia natura con una contestuale perdita da parte delle forze di sicurezza locali del controllo di 120 distretti che sono stati evacuati dopo gli attacchi perpetrati dai talebani. Rispetto a quanto precedentemente detto è utile sottolineare che, in questo difficile frangente, l’Afghanistan è colpito da una forte crisi economica e sociale causata da molti decenni di instabilità politica iniziati in seguito al crollo del regime sovietico che ha portato all’instaurazione dei talebani come gruppo dominante ed al conseguente governo islamista radicale a partire dal 1996. Dopo l’attacco alle Torri Gemelle nel 2001 vi fu l’intervento degli Stati Uniti e nel 2003 l’invio delle forze di pace della Nato, ma ciò non ha portato ad un allontanamento delle milizie talebane che, al contrario, attraverso svariati attacchi alle istituzioni afgane hanno tentato più volte di riprendere il controllo del Paese.  Il 29 Febbraio 2020, la precedente amministrazione degli Stati Uniti d’America guidata dal presidente Donald Trump, ha siglato un accordo di pace con la controparte talebana al fine di porre fine alle violenze armati. Purtroppo, questo trattato, pur avendo una forte valenza storica, non ha posto fine alle violenze ed anzi, lo slittamento di tre mesi del ritiro delle truppe statunitensi posto in essere da Joe Biden ha fatto sì che i talebani non partecipassero a future iniziative diplomatiche prima del ritiro delle truppe straniere dall’Afghanistan.

Agire per una celere pacificazione

In ultima istanza, alla luce delle numerose vittime civili e militari causate dai vari conflitti che si sono susseguiti in Afghanistan dal 1979 ad oggi, è fondamentale che le istituzioni internazionali preposte agiscano con celerità al fine di provvedere quanto prima alla costruzione di nuove infrastrutture e all’invio di aiuti umanitari alla popolazione civile stremata da moltissimi anni di conflitti armati e, contestualmente a ciò, è fondamentale che le stesse provvedano ad inviare nel paese una forza di peace keeping internazionale in grado di mantenere la pace in forma più stabile e duratura rispetto al passato e, nel contempo, fornire un addestramento maggiormente incisivo alle locali forze di sicurezza che, troppo spesso, sono prive degli strumenti adeguati per mantenere una pace duratura e prevenire i fenomeni corruttivi. Quindi è fondamentale che si agisca in ossequio al fulgido pensiero di Martin Luther King chi era solito dire: “La pace non è solo un fine remoto da raggiungere, ma è un mezzo per quel fine”.

Christian Cabello

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