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Voto chiama voto

E ora che le amministrative hanno battuto un colpo tornare a parlare di legge elettorale, in qualunque forma la si voglia declinare, non è necessario, ma doveroso. Soprattutto per la stabilità del Paese. Al netto di quale e quanto potrà essere l’entità della manovra economica, di cui si vedono solo indizi e non palpabili tracce, è chiaro che il Pd non può non approfittare della debolezza del Movimento 5 stelle, provato da questo voto oltre le ragionevoli aspettative, mentre Forza Italia ora può stare alla finestra, per varare una legge elettorale che metta l’Italia nelle condizioni di andare al voto in qualsiasi momento. Non farlo vorrebbe dire che il vero sconfitto di questa tornata elettorale è il partito dell’ex premier e non gli altri.

Dunque è attorno a questo ragionamento che si andrà sviluppando la partita nei prossimi giorni, ben sapendo che il Quirinale seguirà il match con grande attenzione. Non solo arbitro e custode delle regole, ma parte attiva nel dipanare la matassa. Il Colle, ora più che mai, vuole il tavolo sgombro da luci e ombre, scevro da giochi di Palazzo e manovre carsiche, fatte alle sue spalle. Come è avvenuto sino ad oggi.

Da questo punto di vista ha ragione la Lega, vera vincitrice della consultazione di domenica, quando invoca elezioni anticipate sostenendo una perdita di peso da parte del partito di maggioranza relativa con il conseguente indebolimento del governo. Il dato è oggettivo. Ma altrettanto lo è la crisi del M5s, forte al centro, ma debole in periferia dove i candidati locali non riescono a sfondare. Quelli di Appendino e Raggi rischiano di essere sempre più casi isolati, figli di un particolare momento storico, in cui la congiunzione astrale dei grillini ha coinciso con la fede assoluta e incondizionata degli elettori. La luna di miele forse è finita. O, forse, si è conclusa quella spinta al ribaltamento, non certo rinnovamento, portata nel dibatito politico dai penstastellati. Che ora dovranno rivedere parole d’ordine e strategie.

Cosa che invece non dovrà fare la Lega. Salvini non ha stravinto ma consolidato i fondamentali del Carroccio in chiave nazionale e questo lo mette nelle condizioni di dare le carte nella trattativa con Berlusconi e la Meloni. Perché se è vero che il centrodestra unito vince, non convince una riedizione del Popolo delle Libertà destinata ad essere simile ad un’armata Brancaleone. Gli elettori chiedono chiarezza e messaggi chiari. Il voto di domenica ha ulteriormente rafforzato questo concetto, divenendo una necessità per i comunicatori di tutti i partiti.

Soprattutto nel mondo grillino c’è la necessità di cambiare passo e atteggiamento. Lo scontro sulla legge elettorale non ha pagato, come pensava Grillo, ma ha creato solo disagio. Le sconfitte nelle grandi città sono un segnale forte e chiaro per tutti, e il Garante non potrà far finta di nulla. Cosi come Renzi non potrà non riconsiderare il rapporto con i cosiddetti cespugli, fuori dalla porta con il modello tedesco ma dentro casa con qualsiasi altro sistema elettorale. Dunque le partite da giocare sono molte e tutte intersecate fra loro, sulle quali vigilerà comunque il Quirinale, vero vincitore del voto….

Macario Tinti

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