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Un concistoro di mediazione

Il decano dei vaticanisti Benny Lai diceva che i concistori sono gli autoritratti di un pontificato. Se ciò è vero, che idea di Chiesa ha Francesco per la  Chiesa di domani? I profili dei 13 nuovi cardinali parlano chiaro: la missione come priorità. Una  mediazione tra servizio e fedeltà al Vangelo (fino alle sofferenze della deportazione nei gulag sovietici) e nuovi scenari della globalizzazione (dialogo con le altre religioni e pastorale nella secolarizzata “Nonna Europa). Per capire perché Jorge Mario Bergoglio ha allargato il collegio cardinalizio fino agli estremi confini geografici ed esistenziali, occorre capirne la visione ecclesiologica. Al centro del suo pontificato, infatti, c’è una priorità. E cioè, rinnovare la scelta missionaria per “arrivare a tutti con il balsamo della misericordia, specialmente a chi si sente lontano e ai più deboli”, ha raccomandato Francesco al Convegno delle presidenze diocesane di Azione Cattolica. L’invito del Pontefice è di lavorare per un rinnovato slancio apostolico, animato dalla forte passione per la vita della gente, per contribuire così alla trasformazione della società e orientarla sulla via del bene.

Nell’origine ebraica di ciò che oggi traduciamo con misericordia, l’Antico Testamento usa l’espressione rehamim, che propriamente designa le “viscere” (al singolare, in senso materno, ventre). Della misericordia iniziale, Dio conserva memoria per gli uomini: a condizione che gli uomini siano fervidi nella speranza di riceverla, fino all’insistenza, fin quasi all’insolenza. Per Francesco l’obiettivo della predicazione è sollecitare la Chiesa a calarsi nella realtà. “La teologia non può prescindere da un tempo e da uno spazio preciso che è il mondo reale. Dio, infatti, non parla in astratto, ma alle persone concrete che vivono in una data epoca”, ha osservato il Segretario di Stato, il cardinale Pietro Parolin alla Facoltà teologica del Triveneto in piena concordanza con il richiamo di Francesco a una teologia incarnata che metta la Chiesa a confronto con il mondo contemporaneo e con i suoi problemi quali le “nuove migrazioni” di fronte alle quali occorre “farsi portatori di istanze etiche capaci di trasformarsi in azioni politiche necessariamente condivise”.

La misericordia è il sentimento di compassione per l’infelicità altrui, che spinge ad agire per alleviarla. Misericordioso è lo sguardo del Papa, figlio di migranti, sull’umanità ferita del terzo millennio. “Senza la misericordia la nostra teologia, il nostro diritto, la nostra pastorale corrono il rischio di franare nella meschinità burocratica o nell’ideologia”, raccomanda Francesco in una lettera all’arcidiocesi di cui è stato pastore. “Dio perdona tante cose, per un’opera di misericordia”, si legge nei Promessi Sposi. Francesco vuole accompagnare e accogliere l’uomo concreto con le sue ferite e contraddizioni e non farne un’astrazione. E’ questo il mandato di Francesco ai nuovi Principi della Chiesa: la misericordia è il senso ultimo della predicazione. Chi entra nel sacro collegio, perciò, non può non riflettere teologicamente su quella misericordia che induce a porsi le questioni fondamentali della dottrina su Dio. Insomma, la Misericordia Divina costituisce il nucleo e la somma della rivelazione biblica su Dio. Prima dei princìpi, insomma, viene il kerygma, l’annuncio che il Vangelo è amore, accoglienza verso tutti. L’immagine di Chiesa che Francesco preferisce è quella espressa dal Concilio Vaticano II nella Lumen Gentium (“Sentire cum Ecclesia”). Ecco il senso del concistoro-autoritratto del pontificato. “Il seno della Chiesa universale non va ridotto a nido protettore della nostra mediocrità”, raccomanda Francesco.

Giacomo Galeazzi

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