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Perché il referendum può spaccare la Lega

E ora cosa accade davvero? Il Paese si spacca, oppure come sostiene Bossi l’autonomia fermerà la secessione? Difficile fare una previsione certa, di sicuro c’è che dopo questo doppio referendum, Veneto e Lombardia, si apre una grande partita politica.

Iniziamo allora dai fondamentali della questione. Quasi cinque milioni e mezzo di lombardi e veneti hanno votato a favore dall’avvio di una trattativa con lo Stato per ottenere più autonomia per le Regioni. Forti dell’ampio consenso registrato i due governatori, Luca Zaia e Roberto Maroni, sono passati subito all’incasso. Il Veneto chiederà il riconoscimento dello Statuto speciale (ma è necessaria una modifica della Costituzione, impresa non semplice). Mentre Maroni, scottato dal pessimo effetto del voto elettronico, assicura di aver avuto garanzie dal premier, Paolo Gentiloni, sentito al telefono, sulla sua “disponibilità” ad avviare la trattativa su “tutte le 23 materie” per le quali è concesso alle Regioni, in base all’articolo 116 della Costituzione, di negoziare maggiore autonomia.

Insomma, inizia un lungo braccio di ferro e nessuno sa quando finirà ma ciò che conta è l’effetto. Del resto il tema delle Regioni a Statuto speciale è il vero elemento dirimente dell’intera questione. Perché alcune regioni, come la Sicilia e il Trentino, solo per citare le principali, sì e gli altri no? Aprire questo fronte davvero mettere le mani dentro alla Costituzione. Questo sul piano meramente pratico.

Sul fronte politico il tema sul tavolo riguarda gli assetti interni alla Lega e i rapporti con gli alleati in vista delle prossime elezioni legislative. E’ su questo fronte che si peseranno i protagonisti della sfida. Tutti sostengono che Matteo Salvini sia particolarmente soddisfatto. “E’ una vittoria del popolo“, commenta il segretario leghista, “una lezione di democrazia a tutta Europa”. “Abbiamo vinto sui poteri forti cinque a zero”, festeggia, smentendo formalmente le presunte, ma per molti più che vere, divisioni interne al Carroccio. “Sorrido quando leggo certe ricostruzioni”, spiega l’erede (ora sì) di Bossi. Salvini trova il tempo anche di criticare il “particolare silenzio” di Beppe Grillo e Matteo Renzi di questi giorni. E di lanciare un monito agli alleati più scettici, ovvero Giorgia Meloni di Fratelli d’italia.

“E’ chiaro che nel programma” della futura coalizione di centrodestra il tema dell’autonomia “dovrà essere centrale: magari qualcuno non si è accorto di che aria tira”. La leader di Fdi, estremamente romanocentrica nella sua visione, non ha esultato per i referendum e non ha fatto campagna elettorale, anzi si può dire che ha lavorato contro. Non a caso tiene a puntualizzare come sia “evidente che i quesiti referendari non hanno affascinato i 14 milioni di cittadini chiamati al voto: meno della metà di loro si è recata ai seggi, respingendo di fatto questa impostazione plebiscitaria”.

Berlusconi, invece, si dice “soddisfatto” dell’esito di queste consultazioni che “non vanno contro l’unità nazionale“. E qui non è difficile sentire l’eco di Bossi nelle parole del Cavaliere. Il quale ora, potrebbe avere gioco facile nel lanciare Zaia come premier stoppando le ambizioni di Salvini. E non sarebbe una cosa da poco. Anzi, potrebbe essere la chiave di tutto.

Maroni, infatti, non esce proprio bene dalla competizione elettorale e se la ricandidatura in regione non è in discussione, appare sempre più improbabile un ritorno sulla scena nazionale. Per Salvini una partita doppia risolta con un solo colpo. Dunque questi referendum non hanno avuto nulla di casuale e, come in un domino, continueranno a produrre effetti nel lungo periodo. Sempre che le eventuali fughe in avanti dei vari protagonisti di questa stagione della Lega non sfocino in alleanze inedite e apparentamenti strani. Insomma, l’osservato speciale è Zaia. E diversamente non può essere. Tanto che il centrosinistra ha accusato il colpo del Veneto come non sospettava. E ora per Renzi tutte le strade saranno in salita….

Macario Tinti

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