I redditi da pensione, dal 2004 ad oggi, hanno perso in media il 21% del loro potere d’acquisto. In particolare, su questo versante, il tema del differenziale esistente tra le entrate delle pensioni tra uomini e donne fa inorridire ed è intollerabile. Si pensi che, le cittadine lavoratrici, operanti nei più disparati settori della nostra economia, non solo hanno salari inferiori a parità di mansione ma, alla fine della loro carriera professionale, quando vanno in pensione, hanno una retribuzione molto più scadente, nell’ordine del 43% in meno rispetto ai loro colleghi maschi. Quella a cui ci troviamo di fronte è una grave forma di diseguaglianza che deve essere assolutamente colmata, intervenendo laddove è più necessario.
Occorre adoperarsi per permettere un trattamento economico maggiormente equo. Ognuno deve avere la stessa retribuzione per la medesima mansione e maggiori opportunità di crescita professionale che, purtroppo, ad oggi, per le donne, è molto più complicata. Laddove ci sono delle eventuali diseguaglianze dettate dalla collocazione delle donne in un determinato iter lavorativo è necessario agire per colmare il divario di genere dal punto di vista previdenziale. Gli strumenti per poter intervenire in tal senso ci sono ma, come per altri argomenti, c’è una scarsa volontà di risoluzione del problema.
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