Intervento

Il Mediterraneo: scrigno di biodiversità da tutelare

Il mar Mediterraneo, con i suoi 2,5 milioni di chilometri quadrati e 46mila km di coste, fin dagli albori della civiltà, costituisce uno scrigno di biodiversità che, gli Antichi Romani, per sottolineare la grandezza delle loro conquiste, chiamavano “Mare Nostrum”, ovvero “il nostro mare”. Tale ambiente marino, ancora oggi, dopo un decennio segnato da importanti cambiamenti climatici, rappresenta una grande risorsa per tutti i Paesi che hanno la fortuna di affacciarvisi. Si pensi che, queste preziose acque, secondo le ultime ricerche effettuate, hanno al loro interno ben 17 mila specie animali e 25 mila specie vegetali, di cui oltre la metà presenti esclusivamente in loco.

Questi dati, ancora una volta, sottolineano l’importanza di tutelare ancor di più il “Mare Nostrum” per il bene di tutti noi, ma soprattutto per le future generazioni. Una specie aliena, definita “Lion Fish”, in italiano “Pesce Leone”, proveniente dall’Oceano Indiano e Pacifico attraverso le imbarcazioni provenienti dal Canale di Suez, con la sua grande voracità e capacità riproduttiva, sta mettendo a rischio l’equilibrio ambientali e le specie naturalmente presenti nel mar Mediterraneo orientale. Se non verranno presi adeguati provvedimenti il suo impatto, già nettamente superiore a quello del celeberrimo granchio blu, rischia di essere ancora più severo e mettere a rischio anche le acque territoriali italiane. Abbiamo il dovere di tutelare il mare, il patrimonio inestimabile in esso racchiuso e le attività dei pescatori che, attraverso la loro opera quotidiana, sono le sentinelle della salute del nostro ecosistema marino. Il nostro impegno, in sinergia con una rete internazionale di associazioni, è quello di svolgere un’opera di sensibilizzazione sociale su questo predatore sollecitando, come già fatto per il granchio blu, un’opera di conoscenza, educazione ed utilizzo gastronomico per far sì che, il “Lion Fish”, non pregiudichi ulteriormente l’equilibrio ambientale del mar Mediterraneo. Lo dobbiamo ai nostri figli.

Nicola Tavoletta

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