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La sfida di Francesco

Il Giubileo straordinario è la sfida di Papa Francesco all’oscurantismo e all’estremismo. Una provocazione nel tempo della guerra mondiale che infiamma mezzo mondo, dove l’ideologia si fonde con la religione in un mix di odio e di atrocità. Un incoraggiamento a dare corpo alla fede cristiana. Non più sepolcri imbiancati pronti a stracciarsi le vesti ma totalmente indifferenti ai precetti del Vangelo troppo speso ignorati. Giubileo per riscoprire il messaggio di Cristo e comportarsi di conseguenza, perché essere cristiani non è solo come un appellativo da aggiungere al nome ma una dimostrazione di vita quotidiana. Così il senso di questo Anno Santo è la Misericordia, uno dei precetti che più di ogni altro sono stati propugnati da Papa Francesco in questi due anni di pontificato. Misericordia di Dio tanto profusa dal Cristo nella sua vita terrena. E verso gli ultimi, verso i diversi. Valore supremo di umiltà.

Eppure oggi quando si parla di Giubileo gli argomenti non sono religiosi. Si parla di soldi, di opere pubbliche, di sicurezza. Certo, questo è importante soprattutto nel clima che stiamo vivendo con la minaccia dell’Isis. Ma il resto? Il Giubileo da quando fu istituito è sinonimo di penitenza, di confessione dei propri peccati, ma ormai sembra solo un pretesto per fare affari. “L’economia italiana e di Roma riceverà una spinta in avanti dal Giubileo straordinario” si è detto. Certo avverrà ma lo spirito, l’anima di questo evento è un’altra. E lo è proprio in questo momento storico che vede il jihadismo minacciare i cristiani in nome di un fanatismo religioso che è esso stesso eretico all’interno dell’Islam. E l’ultima tragedia avvenuta in Kenya, la carneficina all’interno di un campus universitario messa in atto da Al Shabaab è lì a dimostrarlo.

A chi taglia le teste in nome di dio (minuscolo perché il Dio Unico non è un Dio assassino ndr) i cristiani devono rispondere con la fede: la propria professione di fede. Misericordioso è anche, non è un caso, l’appellativo che accompagna, sempre, il nome di Allah nelle preghiere. Non cristiani sulla carta di identità ma nelle opere, nell’esempio, così come va ripetendo Papa Bergoglio.

La chiamata a Roma dei cristiani è un invito a ritrovare i valori partendo proprio da uno stile di vita meno materialista. Liberarsi dal pensiero “debole” del relativismo. Che il Giubileo torni alle origini in uno stile francescano, non solo in ossequio al Papa che si chiama Francesco, ma per ritrovare quei valori che la cristianità ha perso e dato per scontati dopo secoli di cultura illuministica la cui deriva è sotto gli occhi di tutti. Chiese vuote, poche vocazioni sacerdotali.

Quindi non c’è bisogno di grandi opere, di spendere milioni. Si deve attrezzare la città per il flusso eccezionale di gente. Strade in ordine, più bagni pubblici e decenti, parcheggi per i pullman. Quest’ultimi possono e devono stare lontano dal centro storico: camminare fa parte della penitenza. Il Giubileo non dev’essere una gita ma un percorso di preghiera. E allora la Diocesi di Roma apra le chiese chiuse, tante, troppe, proprio nel Centro di Roma. Gioielli artistici e tesori di spiritualità dimenticati. “Aprite le porte a Cristo” è il messaggio; ridare forza a quel sentimento che unisce la compassione, la pietà verso le miserie umane, i più deboli, gli sfortunati. Che oggi non sono solo i poveri e i derelitti. Sono i tanti profughi di questa guerra totale che contamina troppi Paesi, Sono i nostri vicini di casa colpiti dalle sventure, afflitti dalle violenze domestiche.

Giubileo di contrizione, di pietà, non di affari. Lo tengano bene a mente politici e manager. Del Giubileo del 2000 sono tante le opere che a oggi non sono state più utilizzate; basti pensare alla spianata di Tor Vergata dove Giovanni Paolo II abbracciò i giovani, e a quella immensa croce, simbolo dell’Anno Santo del millennio, finita a pezzi da uno sfasciacarrozze.

Maurizio Piccirilli

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