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La lezione di Gentiloni al Pd

E, per favore, non sbattete la porta quando uscite. Applicando la classica teoria del buon padre di famiglia, il presidente del Consiglio uscente, Paolo Gentiloni, ha preferito usare molta carota e poco bastone nel congedarsi dalla stampa nel classico appuntamento di fine anno, prima di salire al Colle. E lo ha fatto mandando agli elettori un segnale politico molto forte ma pacato nei toni.

“Il Pd ha tutto l’interesse ad apparire quello che è: una forza tranquilla di governo. Questo è il messaggio che a mio avviso deve trasmettere. E trasmettendolo recupererà consensi. E’ dalla sinistra di governo che bisogna partire”, anche nel discorso delle alleanze. Ed ancora: il Pd ha subito “una scissione per il deterioramento dei rapporti” e “auspico che le conseguenze non siano rilevanti”, ma in ogni caso “non sempre promuovere divisioni porta successo”.

Sia chiaro, questa porzione del “Gentiloni pensiero” poco importa al Quirinale, al cui spettano ben altri compiti, ma l’inquilino del Colle non può nemmeno non tener conto del fatto che in quel fraseggio ci cela bel altro messaggio. Il capo del governo uscente è ben lontano dall’autocandidarsi per Palazzo Chigi nella prossima legislatura, pur delineando i contorni di come bisognerebbe affrontare la campagna elettorale. E la tal cosa, ovviamente, riguarda il Nazareno.

Ciò di cui dovrà preoccuparsi il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ora che ha suonato la campanella, sarà vigilare attentamente sul rispetto delle regole affinché tutto avvenga dentro al campo di gioco. Non in tribuna o negli spogliatoi. Sarebbe un guaio per tutti. Un dettaglio, quest’ultimo, tutt’altro  che secondario.

Lo stesso Gentiloni ha spiegato che finchè è previsto dalla Costituzione, governerà senza “tirare i remi in barca”. Una impostazione, condivisa con il capo dello Stato, per affrontare tutta la mole di lavoro che attende il governo del Paese e per partecipare ai vertici internazionali nel pieno delle sue funzioni, rappresentando l’Italia e dando il più possibile una immagine di un Paese stabile, anche all’estero.

Non sarà facile ma il tentativo è lodevole. Data la cornice entro la quale si muove tutta la “commedia” della crisi il rito ha rispettato le sue tappe. Il presidente del Consiglio è salito al Quirinale dal Presidente della Repubblica. Mezz’ora di colloquio, poi al Colle è arrivato il presidente del Senato e leader di Leu Pietro Grasso, seguito dalla presidente della Camera Laura Boldrini. Da loro il capo dello Stato ha formalmente registrato l’estrema certificazione dell’impossibilità per il Parlamento di affrontare con successo la votazione sulla legge sullo Ius soli e da qui l’emanazione del decreto di scioglimento delle Camere, cui è seguito quello (del Consiglio dei ministri) che fissa nel 4 marzo la data delle prossime elezioni parlamentari. Fuori dai protocolli e dalle liturgie la politica segue già il suo percorso, quello della campagna elettorale.

 

Macario Tinti

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