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La pace di Francesco per un mondo in guerra

Il dialogo come antidoto alla guerra. L’attacco iraniano ad Israele allontana la pace dal Medio Oriente e il Magistero no-war di Francesco si staglia sempre più come testimonianza profetica per l’umanità in pericolo. “Abbiamo taciuto abbastanza. E’ ora di finirla di stare zitti! Gridate con centomila lingue. Io vedo che a forza di silenzio il mondo è marcito“: pronuncia le parole di Santa Caterina da Siena l’arcivescovo della città toscana Augusto Paolo Lojudice. E chiede di “non rassegnarsi alla logica della guerra, della violenza e della contrapposizione”. Il cardinale ha commentato quanto sta accadendo tra Iran e Israele: “Ci uniamo al Santo Padre nell’appello affinché tacciano le armi e si possa tornare a dialogare. Le prime vittime di ogni conflitto sono i più fragili: donne, bambini, anziani. Non dimentichiamoci di loro”, ha aggiunto il cardinale Lojudice. “La pace – prosegue – va costruita ogni giorno anche nella nostra vita quotidiana. Non pensiamo che sia un valore astratto, ma deve essere uno stile di vita. Non parole, ma fatti. Non possiamo permetterci più di ignorare chi soffre ed è in guerra. Papa Francesco ce lo ha detto: siamo tutti sulla stessa barca!”.

Foto di Nico Smit su Unsplash

Il Pontefice cita le parole del profeta Isaia che esprimono la consolazione, il sospiro di sollievo di un popolo esiliato, sfinito dalle violenze e dai soprusi, esposto all’indegnità e alla morte. Su di esso il profeta Baruc si interrogava: “Perché ti trovi in terra nemica e sei diventato vecchio in terra straniera? Perché ti sei contaminato con i morti e sei nel numero di quelli che scendono negli inferi?”. L’avvento del “messaggero di pacesignificava la speranza di una rinascita dalle macerie della storia, l’inizio di un futuro luminoso. A partire dal Vaticano II la Chiesa ha offerto al mondo il suo esempio di rigenerazione e purificazione. Dalla costituzione pastorale “Gaudium et Spes”, infatti, papa Francesco dimostra di aver recepito fondamentalmente la sua opzione di decentramento. Il rinnovamento conciliare ha prodotto, infatti, una vera svolta copernicana nella coscienza ecclesiale. Non più una chiesa centrata su sé stessa, rischio che minacciava il modello di Chiesa-comunione, ma sull’altro, sul mondo. Lo si coglie già nella solenne dichiarazione iniziale.

Foto © VaticanMedia

Il Concilio “non potrebbe dare una dimostrazione più eloquente di solidarietà, di rispetto e d’amore verso l’intera famiglia umana, che mettendo a disposizione degli uomini le energie di salvezza che la Chiesa riceve dal suo Fondatore. Si tratta di salvare l’uomo. Di edificare l’umana società”. Una opzione che si concretizza nel mettere al centro delle sue preoccupazioni non i bisogni e i problemi propri. Ma il mondo con le sue gioie e le sue speranze, le sue tristezze e le sue angosce attuali. Il Concilio attuò questa opzione focalizzando in partenza i gravi problemi economici, sociali, politici e culturali del mondo. E cercando di tracciare delle linee di soluzione. E’ l’applicazione del metodo del vedere-giudicare-agire. Ciò gli valse l’accusa di orizzontalismo sociologizzante. Di tradimento della dimensione verticale della fede. Di oscuramento della trascendenza. Di infedeltà alle esigenze della religione in quanto rapporto con Dio. Un’accusa a cui diede risposta Paolo VI appellandosi in conclusione del Concilio alla parabola del Samaritano, definendola ” paradigma della spiritualità“.

Fonte: Vatican News

Papa Francesco ribadisce che ancora oggi quel cammino della pace, che San Paolo VI ha chiamato col nuovo nome di sviluppo integrale, “rimane purtroppo lontano dalla vita reale di tanti uomini e donne”. E dunque, della famiglia umana, che “è ormai del tutto interconnessa”. Nonostante i “molteplici sforzi mirati al dialogo costruttivo tra le nazioni”, si amplifica “l’assordante rumore di guerre e conflitti”. Gli effetti del cambiamento climatico e del degrado ambientale aggrava inoltre “il dramma della fame e della sete”. Intanto continua a dominare, secondo Francesco, un modello economico basato sull’individualismo più che sulla condivisione solidale. Come ai tempi degli antichi profeti, anche oggi “il grido dei poveri e della terra non cessa di levarsi per implorare giustizia e pace. È su questo sfondo, a giudizio del teologo don Gallo, che si staglia, luminosa ma esigente, l’accorata proposta della misericordia, e dello stesso Giubileo della Misericordia da lui indetto. Ne è una icona suggestiva la figura di Gesù tratteggiata nel Vangelo di Marco 6,34: “Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, ebbe compassione di loro, perché erano come pecore che non hanno pastore“. E ne è tutto un programma il testo di Matteo 9,13: “Misericordia io voglio e non sacrifici”. Un programma che papa Francesco sta attuando di persona, e propone anche incessantemente a tutta la Chiesa.

Giacomo Galeazzi

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