Intervento

Finlandia e Svezia nella Nato: ecco perché il Cremlino minaccia fuoco e fiamme

Bloccato sul fondo del mare, e mai recuperato, giace da un quarto di secolo un sottomarino russo. Era ancora l’epoca di Yeltsin, quando non riemerse, ed ora che siamo al crepuscolo dell’era di Putin il Kursk – o quel poco che ne resta – è ancora imprigionato nei ghiacci del mare di Barents. È esattamente l’emblema di quello che adesso il Cremlino vuole evitare: trovarsi chiuso nel suo doppio possibile accesso ai mari occidentali, il Mediterraneo e l’Atlantico, e dover fare con il solo Oceano Artico. Troppo poco per una superpotenza mondiale.

Per capire meglio si vada ad un altro precedente storico: quando i giapponesi presero Port Arthur, nella Siberia che si affaccia al Pacifico, lo Zar fece costruire una flotta magnifica per andare a liberare quel gioiello della sua corona. Ma l’armata dovette fabbricarla a San Pietroburgo per poi mandarla a compiere il periplo dell’Africa e dell’Asia: arrivò stremata all’appuntamento con i giapponesi e fu il disastro di Tsushima. I Romanov non avrebbero resistito al potere se non per altri 12 anni.

Ecco così spiegato il motivo per cui il Cremlino minaccia letteralmente fuoco e fiamme se Finlandia e Svezia dovessero entrare nella Nato, e a quanto pare lo faranno in poche settimane. Con la perdita della neutralità finlandese il braccio di mare a cui si affaccia San Pietroburgo avrebbe quattro quinti di coste sotto il controllo dell’Alleanza avversaria (l’Estonia è parte della Nato dalla metà degli anni ’90). A questo punto l’enclave di Kaliningrad, nell’ex Prussia Orientale, diverrebbe ancora più vitale. Ma c’è un ma.

Con l’ingresso della Svezia, infatti, si avrebbero due Paesi della stessa Nato (di cui la Danimarca è membro fondatore) piazzati alle bocche del Baltico, a gestire il traffico di chi entra e di chi esce. Anche per andare e venire da Kaliningrad, mica solo da San Pietroburgo. È esattamente quello che fa, tra il Bosforo e i Dardanelli, la Turchia: Nato anch’essa. Anche se è vero che Ankara è molto accorta a non offendere nessuno, nell’applicare la Convenzione di Montreux, tanta cortesia resta pur sempre una concessione, e le concessioni non rassicurano nessuno. Insomma, la Russia sente crescere un senso di asfissia. Si dirà: se ne comprendano le ragioni; il che sarebbe giusto, ma anche la Russia avrebbe dovuto comprendere prima le ragioni dell’Ucraina. A scatenare il bailamme attuale è stato il Cremlino, non il quartier generale della Nato.

In politica, comunque, i torti e le ragioni danno l’indirizzo ma non la soluzione. Le soluzioni vengono dalla razionalità della politica, e quest’ultima ci dice che la Russia resta, nonostante chi la guida, un paese europeo. Isolarlo sarebbe un errore e non solo perché si riaprirebbe una corsa ai mari freddi e la cerca di un passaggio a Nord-Est al largo della Penisola di Cola, con conseguenze esiziali anche per il clima per non dire della minaccia nucleare sventolata ancora adesso da Medvedev. Qui si tratta di ridisegnare un equilibrio tra le potenze, un vero ordine mondiale, perché se la Finlandia rinuncia ad una neutralità difesa dal 1945 e la Svezia ad una posizione super partes sposata dal 1815 (vale a dire dalla fine di Napoleone: in Europa talvolta i secoli sono giorni) allora significa che è finita l’ennesima epoca nella storia del Vecchio Continente. L’epoca, chissà se davvero felice, apertasi con il crollo del Muro di Berlino. Quell’epoca che qualcuno, scioccamente, aveva definito la Fine della Storia.

Tutto invece adesso riprende la sua corsa, sulla spinta dei tank che attraversano le piane dell’Ucraina e dei missili che ne solcano li cielo. Impossibile far finta di niente, di fronte ai morti di Bucha e al grano bloccato a Odessa. Ma quando tutto questo sarà finito e speriamo presto, e la Nato avrà due membri in più e l’Europa si spera un dittatore in meno e magari anche due, quando insomma tutto questo ci sarà dovremmo metterci attorno ad un tavolo a rivedere tutto. Non la Nato, che avrà i suoi difetti ma se nessuno ne vuole uscire vuol dire che ha anche i suoi pregi, quanto piuttosto la coesistenza pacifica tra i popoli europei. Alle corte: una nuova Conferenza per la sicurezza e la Cooperazione in Europa, sul modello di quella del 1975. Potremmo tenerla ad Helsinki, come quella di tanti anni fa. Perché se è vero che la Finlandia non è più neutrale, se è vero che fa parte della Nato, è altrettanto vero che è un paese dell’Unione Europea, quello più vicino a san Pietroburgo. E se vogliamo una Russia più democratica, più vicina a noi, è da lì che dobbiamo partire: dal Golfo di Finlandia.

Nicola Graziani

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