Lo dimostra giorno per giorno il dibattito inconsistente sul 3%. La vanagloria (pericolosa) di chi si fa promotore di deficit, come se aggiungere altro debito a un debito già pesantissimo fosse di per sé ragione di vanto. E, dall’altra parte, la caricatura del rigorismo. Non va poi dimenticato quanto gli impegni europei hanno portato in termini di vantaggio sui tassi di interesse. Negli anni ’90, se non imbrogliamo con la nostra memoria e con i nostri ricordi, il discorso pubblico sugli impegni che l’Italia stava assumendo metteva al centro come valore positivo la stabilità. L’idea, discutibile come tutte le idee ma con suoi solidi fondamenti, era che dando una prospettiva appunto stabile sul tasso di interesse, l’inflazione e la politica monetaria, gli investimenti privati si sarebbero attivati. E quella prospettiva effettivamente venne offerta. Ricordate la legittima ma un po’ propagandistica soddisfazione del governo Prodi per i mutui scesi sotto al 5%? Beh, quello era un risultato raggiunto grazie ai vincoli europei. Solo che in un Paese bloccato da altri freni e da altre magagne quei bassi tassi di interesse determinarono solo una bolla immobiliare e non una sana ripresa di investimenti produttivi di lungo termine.
Ora che del rispetto del 3% faccia una propria fissazione chi deve andare periodicamente a trattare a Bruxelles per far approvare il bilancio italiano è anche accettabile. Ma stiamo parlando di poche decine di persone, chiamate a un compito sostanzialmente tecnico. Parafrasando la battuta calcistica, invece, siamo diventati 60 milioni di ragionieri generali dello Stato. Mentre dovremmo discutere non tanto di tetti e deficit, ma di tutto ciò che è dentro ai tetti e ai deficit. In termini generali: della qualità e non della quantità. E ce n’è tanto da dire e da fare sulla qualità. Sia sul lato della spesa sia su quello delle entrate.
È bastato al governo in carica un minimo sussulto di impegno sulla qualità nella gestione del bilancio per vedere crescere gli indici di popolarità e, cosa più importante, per far affiorare qualche barlume di ripresa. Mettiamo nelle scelte razionali, a prescindere dal rispetto del 3%, ad esempio l’alleggerimento del fisco sui redditi bassi da lavoro e la prima riduzione dell’Irap. È una strada su cui insistere. Ci vorrebbe altrettanto impegno nel presentare un piano di investimenti pubblici ben fondato, difendibile di fronte ai ricorsi, equilibrato, nel tempo, tra costi immediati e possibili ricavi futuri. Attenti, la qualità è possibile anche nella riduzione della spesa. Ma va sostenuta politicamente.
Più si ragiona così e più ci si dimentica del 3% e dei suoi idolatri.
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