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Come cambiano le pensioni

L’intesa tra il Governo ed i sindacati sulle pensioni apre una nuova fase nel rapporto tra la politica ed i corpi intermedi dopo anni di “disintermediazione” e di ostracismi sulla concertazione. Non a caso dal lontano 2007 non veniva concordato un intervento cosi dettagliato e corposo di politica dei redditi (ben 6 miliardi in tre anni) con un sostegno reale ai più deboli della società. E’ importante aver fatto passare il concetto che sulle questioni della previdenza e del lavoro, il dialogo con il sindacato è un valore aggiunto. Si tratta di una svolta politica, ma soprattutto culturale, un segnale in controtendenza rispetto al clima di divisioni e di rissa persistente nel paese. Perché minimizzare tutto questo?

Finalmente si torna ad utilizzare un metodo di confronto ed un linguaggio che favorisce la coesione sociale. Si coglie, in particolare, la necessità di una condivisione sulle scelte sociali ed economiche, più volte sollecitata dal Presidente della Repubblica, Mattarella. Un anno fa quando il sindacato ha iniziato la mobilitazione per cambiare la Legge Fornero, in pochi avrebbero scommesso che saremmo riusciti a trovare percorsi condivisi che rispondessero ai bisogni di tre generazioni: i giovani, i meno giovani ma non ancora in pensione ed i pensionati.

Non è stato facile, anche perché tante erano le spinte, di varia natura, a far fallire il negoziato. Ma alla fine siamo riusciti a ripristinare un criterio di equità ed un patto di solidarietà nella previdenza, cancellando anche alcune iniquità assurde della riforma Fornero: in primis il concetto che non tutti i lavori sono uguali, così come non tutte le lavoratrici e tutti i lavoratori sono uguali. Non si può stare su una impalcatura o su una gru a 20 metri d’altezza fino a 67 anni, cosi come non è accettabile lavorare nelle corsie degli ospedali o nelle scuole d’infanzia in età avanzata. Non tutti i lavori comportano lo stesso grado di fatica e di disagio psico – fisico. La scelta dal Governo è stata quella di consentire un’uscita anticipata e volontaria dal lavoro tramite l’Ape, caricandone gli oneri sui diversi soggetti interessati: Stato, imprese e lavoratori, con un “peso” variabile in relazione alla “causa” che genera il ricorso alla flessibilità. Ma le agevolazioni fiscali richieste dal sindacato interverranno a sostegno di una serie di categorie di lavoratori in situazione di particolare bisogno per evitare che l’importo della rata del “prestito” pensionistico, riduca l’adeguatezza del trattamento.

Si tratta dei disoccupati rimasti sprovvisti di ammortizzatori sociali, dei lavoratori disabili o occupati in alcune attività particolarmente gravose e pesanti e dei lavoratori che prestano assistenza a familiari di primo grado con disabilità grave per i quali è stato previsto un reddito “ponte”, esente da imposte, interamente a carico dello Stato, che li accompagnerà dal momento dell’accesso (volontario) all’Ape, fino alla maturazione dei requisiti pensionistici. Noi pensiamo che sia giusto pensare prima a chi ha più bisogno, ai più deboli, salvaguardando anche i lavoratori coinvolti nei processi di ristrutturazione o di crisi aziendale, i cui oneri per l’uscita anticipata potranno essere posti dai contratti collettivi sui datori di lavoro, anche per il tramite dei fondi bilaterali.

Tuttavia l’Ape si configura come un’opportunità di cui tutti i lavoratori e le lavoratrici potranno usufruire, secondo le proprie libere scelte e valutazioni. E’ una soluzione che consentirà di affrontare molti problemi causati dall’abolizione della pensione di anzianità, realizzata dalla legge Fornero. L’altra importante novità frutto dell’intesa Governo- sindacati riguarda gli attuali pensionati, con il riconoscimento degli aumenti, l’estensione della platea della quattordicesima mensilità e la definitiva equiparazione della “no tax area” e delle detrazioni con i lavoratori dipendenti. Non è un intervento assistenziale, come sostiene qualcuno, ma una scelta di giustizia sociale che intende mitigare la perdita del potere di acquisto subita dai trattamenti pensionistici di importo molto basso. Una soluzione equa proprio perché tiene conto dell’anzianità contributiva e dell’ammontare della pensione, non della situazione economica personale o familiare.

Tutti coloro che vanno in pensione sanno che il loro assegno è destinato a perdere potere di acquisto con il tempo, rendendo più acuto il problema del mantenimento del tenore di vita nell’età anziana, proprio quando aumenta il bisogno. Se si somma a questo problema quello della discesa dei tassi di sostituzione, conseguente all’entrata in vigore del metodo contributivo, si ha un quadro sempre più preoccupante delle condizioni delle generazioni future. Ecco perché uno dei punti chiave dell’accordo, su cui continuerà il confronto nelle prossime settimane, riguarda anche i giovani. Non è vero che abbiamo pensato solo agli attuali pensionati. Abbiamo previsto interventi volti a migliorare l’accesso alla pensione, favorire il riscatto della laurea, rendere gratuito il cumulo dei contributi versati presso gestioni pensionistiche diverse, la valorizzazione a fini previdenziali del lavoro di cura, lo sviluppo della previdenza complementare e la possibilità di prevedere una pensione contributiva di garanzia per i redditi bassi. Ci accontentiamo di questo? No.

L’accordo non risolve l’insieme dei problemi aperti di un Paese lacerato ancora dalla crisi economica, con un livello di disoccupazione giovanile ancora troppo alto, l’allargamento del divario nord – sud e del livello di povertà, le infastrutture e i servizi sociali insufficienti, l’apparato industriale da ricostruire, il territorio da tutelare. Restano tante cose ancora da fare. Ma proprio per questo dobbiamo continuare sulla strada del dialogo con il Governo a livello nazionale e locale, fronteggiando nelle prossime settimane con lo stesso spirito di co-responsabilità le grandi questioni aperte: come favorire la crescita, gli investimenti produttivi e aumentare l’occupazione stabile; rinnovare subito tutti i contratti aperti ma cambiando anche il sistema e le relazioni industriali in modo da alzare sia la produttività, sia i salari; far partecipare i lavoratori ai processi di trasformazione, di efficienza e di qualità nelle aziende e nella pubblica amministrazione. Questo è il “patto sociale” che serve oggi al nostro paese, affrontando le sfide aperte con uno spirito propositivo, come ha sempre fatto la Cisl nell’arco della sua lunga storia.

Annamaria Furlan, Segretario Generale Cisl

Autore Ospite

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