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Cavalcavia, perché cadono a pezzi

Anche se in alcuni momenti del dopoguerra lo abbiamo dimenticato dai romani abbiamo ricevuto la lezione che le infrastrutture di trasporto portano lo sviluppo e il lavoro.
Per 1970 anni l’unica strada che collegava Roma con la Francia è stata l’Aurelia.

Da questo dato emerge come i vantaggi di una infrastruttura sono così a lunga gittata che calcolarli con precisione quando si progetta è impossibile. Dall’Unita nazionale ad oggi i periodi di maggior crescita della nostra economia sono legati a importanti investimenti in questo settore.

Prima della costruzione del Traforo ferroviario del Frejus il nostro Pil era 1/4 di quello inglese. Agli inizi del 1900 la decisione di Giolitti di nazionalizzare le ferrovie con le quali Cavour aveva voluto unire economicamente il Paese, appena riunito politicamente, fornì ai privati denari importanti per investire nella manifattura.

Nel dopoguerra e sino al 1975 siamo stati il primo Paese (oltre il 5%) per crescita in Europa anche grazie alla costruzione delle Autostrade e dei trafori autostradali alpini. Del resto senza questi ultimi come avremmo potuto esportare automobili, tessili, elettrodomestici , settori in cui eravamo molto competitivi? Gli aiuti americani ottenuti da De Gasperi vennero impiegati per ricostituire la nostra rete ferroviaria pesantemente bombardata.

Ma nella vita dei popoli a volte sembra che si spenga la luce. Nel 1975 dopo la sconfitta della Dc alle elezioni amministrative un emendamento a firma Pci che bloccava la costruzione delle autostrade fu inserito nella Legge Bucalossi sull’uso del suolo. Quella norma venne cancellata solo 25 anni dopo.

Negli anni 80 l’impennata del debito pubblico insieme alla diminuzione del tasso di crescita portò ai primi tagli nella manutenzione di strade e autostrade non a pagamento. Ecco come iniziò il degrado della Salerno-R.Calabria, con la riduzione progressiva della carreggiata e il peggioramento del sedile autostradale.

La Legge Obiettivo del Governo Berlusconi consentì al nostro Paese di completare la rete ferroviaria ad Av e di realizzare in pochi anni il Passante di Mestre, il nodo di traffico più intasato del Sud Europa.

Dal governo Monti in poi è partito l’attacco pesante alla Legge Obiettivo ma contemporaneamente sono diminuiti gli investimenti in infrastrutture e persino per la manutenzione, con conseguente flessione della crescita economica. E’ in questo quadro che vanno valutati i recenti disastri conseguenti alla cadute dei cavalcavia prima a Lecco poi sulla Autostrada Adriatica e infine a Fossano.

I magistrati facciano tutte le indagini necessarie nei tempi più veloci possibili ma è indubbio che tra governo, Anas e Regioni si debba dare vita urgentemente a una task force che porti a controllare urgentemente la rete stradale e le ferrovie più vecchie e delicate.

Ma le infrastrutture non sono tutte uguali. Come per primo capì Cavour il nostro Paese per esportare in Europa ha bisogno di attraversare le Alpi. Da questo punto di vista i trafori sono importanti quanto lo furono le fabbriche nel secolo scorso.

Le infrastrutture porti (vedi la nuova Diga Foranea a Genova), negli aeroporti e nella rete ferroviaria ad Av (Tav, Terzo Valico e Brennero) portano maggiore crescita economica e sociale. Grazie a opere come queste l’Italia ebbe boom economico e il lavoro. Senza nuove reti autostradali e ferroviarie il nostro Paese e i suoi cittadini rischiano, come ha ricordato il Fondo monetario internazionale, di non agganciare la ripresa dell’economia e del lavoro. La decrescita non è felice.

Mino Giachino

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